Io viaggio leggera – Si viene e si va #6

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Lisa Agosti, 36 anni, di Reggio Emilia, è laureata in Psicologia Clinica dell’infanzia all’Università di Parma. Blogger e scrittrice, è una giramondo. Soprattutto è la protagonista della sesta puntata di Si viene e si va. Non sarà un’intervista come le altre, ma un racconto delle sue avventure, che vi consiglio di leggere tutto d’un fiato.

I primi passi all’estero: Londra.

Un biglietto Ryanair di sola andata da 15 Euro e una valigia da 15 Kg. Nessuna esitazione: il mio corso di studi era terminato dopo i cinque anni canonici e a quel punto prevedeva un ulteriore anno di tirocinio. Avevo chiesto ad un mio professore di mettermi in contatto con una struttura estera per poter svolgere parte del mio tirocinio fuori dall’Italia. Londra era sempre stata la mia meta preferita per le vacanze studio estive, con la scusa di imparare l’inglese ma soprattutto per i concerti di musica grunge. Quando il mio professore mi mise in contatto con un ospedale universitario londinese dove avrei potuto svolgere il tirocinio, quel biglietto e quella valigia mi condussero oltre Manica. Non conoscevo nessuno, non sapevo nulla di ricerca sperimentale, non avevo idea di cosa mi sarei occupata. Il mio primo giorno di lavoro mi misero in mano un plico di domande e una lista di nomi, e mi mandarono a fare da assistente agli esami degli studenti di Medicina del quarto anno. Ognuno di loro aveva preparato una tesina sul comportamento derivante dalla dipendenza da sostanze (droghe e farmaci) e, uno dopo l’altro, si sedettero davanti a me e al resto della commissione per sostenere l’esame, con le mani sudate e il volto pallido che io avevo avuto fino al giorno prima, quando mi ero trovata al loro posto. Diedi a tutti il massimo dei voti.

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Lisa Agosti

Per sei mesi mi occupai di varie ricerche sui comportamenti di dipendenza da sostanze. In quel periodo avevo una personalità doppia alla Dottor Jekyll e Miss Punk-Hyde: di giorno mi capitava di prendere l’aereo con destinazioni varie, armata di tacchi e trucco, per parlare al microfono davanti a dottori della Comunità Europea. Partecipavo alla pubblicazione dei risultati dei miei studi su riviste scientifiche di respiro europeo. La sera, andavo coi jeans strappati e i capelli rosa ad ascoltare i gruppi rock al Borderline. Eppure non era stato facile ambientarsi a Londra: in particolare i primi tre mesi erano stati durissimi, perché non avevo amici e i miei colleghi, tutti più grandi di me, non avevano tempo né voglia di farmi compagnia. Tuttavia l’esperienza fu temprante: vivevo nei dormitori dell’ospedale insieme ad un’ infermiera pediatrica la cui isteria, di cui fui spesso vittima, le fece perdere il lavoro. La sterlina inglese ai tempi era fortissima e facevo la spesa con i coupon per risparmiare qualche centesimo. Nonostante le difficoltà, quando finì il mio tirocinio decisi di lavorare per altri sei mesi, per finire le ricerche di cui mi stavo occupando, benchè il mio lavoro non fosse retribuito. Lavoravo con i tossicodipendenti e adoravo ascoltare le loro storie di vita, così intense e così assurde. Un giorno finii per sbaglio a casa di un cliente. Dovevo intervistarlo per una ricerca sulle droghe pesanti: cominciò a fumare eroina in salotto, dicendo che se non avesse fumato sarebbe potuto diventare pericoloso, mentre sua figlia giocava sulle scale con un’invitante bottiglia verde, piena di metadone.
L’università inglese mi offrì di fermarmi per fare il dottorato, ma rifiutai per perseguire una carriera clinica. Era il 2005: non fu facile trovare lavoro, ma alla fine fui assunta da un’agenzia governativa per la prevenzione e la cura delle dipendenze, che mi permise anche di proseguire gli studi, pagandomi la specializzazione in Doppia Diagnosi alla Middlesex University e il training in agopuntura auricolare. Quest’ultima aiuta a superare i sintomi d’astinenza da sostanze, mentre la Doppia Diagnosi si riferisce alla simultanea occorrenza, in un paziente, di malattia mentale e dipendenza da sostanze. Per due anni lavorai per le strade di Camden e Islington, assicurando cibo, alloggio e cure mediche ai senzatetto, o offrendo assistenza psicologica a chi volesse uscire dalla dipendenza. Avevo un allarme sempre con me, ma non l’ho mai usato. Ho visto con i miei occhi esperienze terribili, come quella di F., uno dei miei pazienti più assidui: quarantenne, italiano, viveva per strada e si iniettava eroina da così tanti anni che le sue vene erano ostruite e l’unico modo per drogarsi era rimasto quello di perforarsi i bulbi oculari, il collo, o la gamba destra, che stava andando in putrefazione. Un giorno finì in ospedale: una trasfusione di sangue lo salvò a pochi minuti dalla morte. La gamba fu amputata. I giorni seguenti furono molto allegri per F., chiacchierava amabilmente dal suo letto d’ospedale e parlava di un futuro per sé, magari in Italia, a casa di sua madre. Accanto al letto era stato sistemato un dispensatore di morfina, che permetteva a F. di schiacciare un bottone e ricevere l’antidolorifico, ma non più di una volta ogni cinque minuti. Era impressionante vedere come F. fosse in grado di parlare e interagire ma allo scoccare dei cinque minuti esatti non mancasse mai di schiacciare il bottone, senza aver bisogno di controllare l’orologio. Il tossico per eccellenza, insomma. Mesi dopo, F. stava bene e la terapia col metadone lo copriva, permettendogli di non usare eroina. Era pulito, felice e positivo. Una sera finì in una rissa, ma non volle dire perché. Poi cominciò a passare le giornate parlando coi piccioni per strada, e mentre lo faceva era consapevole di quel che stava accadendo. Si ricordò che le droghe erano l’unico modo di essere normale, quando era un ragazzino spaventato che soffriva, senza saperlo, di allucinazioni schizofreniche. Inutile dirvi che F. cominciò a iniettarsi l’altra gamba.

Alla ricerca del colore: un po’di Brasile e il ritorno in Italia.

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In Brasile

Nel 2007, arrivò il momento del cambiamento: sentivo addosso a me il grigio dello stress e dello smog di Londra. Decisi allora di partire come volontaria in direzione Brasile, all’interno di una favela: qui ho imparato che la vita vale tutto e niente. La vita della metropoli mi aveva privato della fiducia nel buon cuore della gente, ma i brasiliani erano riusciti ad “aprirmi con lo schiaccianoci”. La musica e i colori di quel paese cozzano terribilmente con la realtà di fame e morte quotidiana. Furono tre mesi di stenti, ma non dimenticherò mai la famiglia che mi ha ospitato e che ancora sento regolarmente, oltre al fervore religioso e alla passione per la danza, tipici di quel paese. Sono tornata a casa con la coda tra le gambe: l’Italia sembrava un Eden, provavo un amore sviscerato per l’elettricità, l’acqua corrente e i manicaretti di mia madre. Purtroppo però presto scoprii, con sgomento, che ero “troppo specializzata” per essere assunta come psicologa in qualsiasi struttura e, per via del mio carattere molto socievole e parecchio ansioso, non sono mai stata attratta dall’idea di avere uno studio privato. Mi sono così dovuta reinventare, diventando educatrice di bambini diversamente abili, assunta da una Cooperativa di Reggio Emilia. Il mondo della scuola è un grande calderone di possibilità, frustrazioni e lenti progressi; se a questo calderone associamo la disabilità, si va incontro ad un magma di speranze inconfessabili, dolori privati e piccoli miracoli quotidiani. L’incontro con l’autismo, tramite un bambino a cui ho voluto e vorrò sempre un bene unico, mi teneva sveglia la notte e sui libri di giorno, sfociando nell’ideazione di un training alle abilità sociali per bambini diversamente abili, da svolgere con i compagni di classe, che ho condotto personalmente e poi passato in consegna ad altri professionisti del settore.

Il richiamo della giungla: il pellegrinaggio riparte.

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Messico – La leggerezza #1

Nel 2010, il richiamo della giungla non tardò a riportarmi per strada, con lo zaino in spalla e un visto per l’Australia. Sono stati anni di pellegrinaggio tra Oceania, Sud Est Asiatico e America Centrale. Ho fatto qualunque tipo di lavoro: la cameriera, la receptionist, la venditrice, la babysitter. In Honduras lavoravo in un ristorante sulla spiaggia, a piedi scalzi, e prendevo 20 lempiras all’ora, equivalenti a circa un dollaro americano. Un giorno venne a pranzo un signore texano, altissimo, con la pancia rotonda e il classico cappello da rodeo, che mi diede una mancia più alta del mio intero stipendio mensile e mi portò a mangiare l’aragosta. Vita da Cenerentola! In Messico camminavo lungo la riva del mare per venti minuti ogni giorno, andando e tornando dal lavoro, e ripensavo alla metropolitana londinese. Fu proprio in quel periodo che capii di aver fatto la scelta giusta, forse non per assicurare la mia vita futura e la mia pensione: era però la scelta giusta per me. Smisi di preoccuparmi del domani, perché tanto la vita è quello che capita mentre si è occupati a fare progetti. Smisi di preoccuparmi del giudizio degli altri, degli anni che passavano senza che io avessi un fidanzato o un figlio, e cominciai a godermi la vita. Gli anni di pellegrinaggio sono associati nella mia mente alle parole Vita, Libertà e Gioia pura. Ho iniziato ad amare in un modo diverso, la Natura era più verde, le persone erano più vere, io stessa sono diventata più bella, attraente, mi sono trasformata nella vera Me. C’era in me una sorta di calamita, qualcuno disse “Tu, Lisa, puzzi di Libertà”, ero una fonte d’energia bianca a cui le persone attingevano per ricaricarsi. E io ne ricavavo storie di vita, segreti mai confessati prima, sogni sussurrati a lume di luna. Sono gli anni in cui mi sono innamorata della vita subacquea, i pesci che mi hanno sempre fatto ribrezzo sono diventati i miei migliori amici. Adoro il rumore del silenzio oceanico, rotto solo dal mio respiratore che lentamente rilascia l’ossigeno che mi tiene in vita. Le ansie e le preoccupazioni rimangono in superficie, sott’acqua c’è solo Bellezza e Pace. E Amore. Infatti sott’acqua ho conosciuto il mio attuale compagno, un buffo personaggio che non conosce la parola No e per il quale sono finita in Canada, una volta, poi due, e ora siamo a dieci o undici.

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Cairns (Australia) – Lisa con il pesce napoleone

Il pellegrinaggio si ferma… o forse no.

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Canada – Waterton National Park

Ahimè, nel 2012, per motivi di salute dovetti arrestare il mio peregrinare in giro per il mondo e quindi, come detto prima, mi stabilii in Canada, a Vancouver. I costanti cambiamenti di clima, dieta e acqua più o meno potabile avevano debilitato il mio sistema digestivo costringendomi a una vita morigerata e stanziale. Almeno per il momento: il richiamo della giungla si fa sentire spesso, ci sono giorni in cui sento il peso di tutte le vite che non sto vivendo. Per fortuna ho la passione della scrittura, che mi permette di intraprendere un altro tipo di viaggio, seppur stando comodamente seduta in poltrona, mentre bevo la mia tisana al finocchio. Stefano mi ha chiesto se Vancouver si possa considerare la chiusura del cerchio: la mia risposta è no. Considero il Canada solo una tappa, in realtà spero di non chiudere mai il cerchio. Al contrario di molte persone, che trovano la felicità nel considerarsi sistemate, la mia linfa vitale è la novità, l’ignoto. Quando scelgo un nuovo Paese da visitare, cerco posti di cui non so quasi nulla e in cui non conosco nessuno. Non ho fretta di arrivare né di tornare. I momenti indimenticabili della mia vita sono quelli in cui ho pensato “se muoio, ora, va bene così”. Il cerchio si chiuderà solo se riuscirò a morire senza tanti rimpianti. Ogni posto mi ha lasciato qualcosa, direi che mi ha arricchito: Cuba, per la sua unicità; le Fiji per la gente del luogo, che non a caso ha vinto il premio come popolo più amichevole della Terra. È proprio qui che ho fatto la mia prima immersione, ho deciso di prendere il brevetto da subacquea e per il mio compleanno mi è stato concesso di esplorare un nuovo fondale, che si è rivelato pieno di squali. Avendolo scoperto io, ho potuto sceglierne il nome, per cui se andate alle Fiji potete immergervi al “Lisa’s fin”! E poi la Nuova Zelanda per i suoi paesaggi incontaminati, molto più belli dal vivo che non nelle immagini di film come Il Signore degli Anelli o l’Indonesia, per le balinesi nei giorni di festa. E l’Italia? L’Italia mi manca, certo: per fortuna ho mantenuto forti e salde le mie amicizie, cercando di esserci sempre, anche se non fisicamente. Se e quando tornerò non lo so, non programmo mai il domani, perché ho imparato che il domani non esiste. Mi manca l’Italia così come mi manca ogni altro paese in cui ho vissuto. Quando si viaggia, si lascia un pezzo di cuore in ogni posto, ma al contempo non si sta bene fissi in nessun posto. Come dice Alda Merini, “mi sento irrequieta quando mi legano allo spazio”. E l’Italia mi manca anche in un altro modo, unico e speciale. Mi manca chiacchierare con le amiche, orientarmi facilmente per le strade, andare nei miei negozi preferiti dove so già cosa mi aspetta. Mi manca la semplicità e la bontà delle cose e della gente. Per fortuna anche i canadesi sono persone buone e semplici, ma per quanto mi piaccia vivere in mezzo alla natura, mi manca la storia, l’arte e l’amore per la bellezza, che invece ritrovo in Italia.

Insegnamenti e consigli

Dal mio girovagare per il mondo, ho imparato tantissimo ed è anche il messaggio che vorrei trasparisse dai miei scritti, in particolare dal romanzo che sto scrivendo. Non è autobiografico, ma penso che dalle sue pagine traspaia tutto il mio bagaglio di esperienze interoceaniche. Moltissime persone che incontro per la prima volta mi dicono: “Quanto vorrei fare quello che hai fatto tu, partire, mollare tutto, viaggiare senza meta”. A tale affermazione, la mia domanda sarebbe: “E chi te lo vieta?”. Tutto ciò che serve è un passaporto e un biglietto. Il resto non conta. Non conta quanti soldi si hanno in banca, non conta se sia la stagione adatta, non conta se si ha il matrimonio del cugino tra due mesi e proprio non si può mancare. Chi ci ama capirà, chi non capisce se ne farà una ragione. Se si è insoddisfatti di quello che si sta facendo, se non ci si sente nel posto giusto, se non si è sicuri di aver davvero trovato l’anima gemella, c’è solo una cosa da fare: mettere un paio di mutande nello zaino, assicurarsi di essere vaccinati e di non arrivare in un posto sconosciuto da soli di notte e varcare l’uscio. Da lì, è tutto in discesa. Quando si è in viaggio non conta un cazzo se si hanno le scarpe, o la crema solare, o il bikini firmato. Le cose si comprano, i libri si scambiano, i viaggiatori si aiutano a vicenda. Certo, con una carta di credito si viaggia meglio, per emergenze e per tranquillità, specialmente le donne travelling solo. Ci sono forum appositi per backpackers, ci sono mille siti su cui ci si può informare, ostelli a cui rivolgersi, amici da incontrare. Il consiglio che posso dare è di non ascoltare i discorsi sui pericoli dei Paesi del Terzo Mondo: io non ho mai avuto così paura come una notte in stazione a Milano. Ho visto morti ammazzati, certo, ho sentito storie di poliziotti corrotti e turisti rapinati. Si può essere derubati, rapiti e stuprati, ma questo vale ovunque, basta usare il buon senso. L’Italia non è meno pericolosa del Guatemala, basta guardare il telegiornale. Per quanto riguarda i soldi, io ho sempre avuto mille e cinquecento euro in banca, non un euro di più, non uno di meno. Abbastanza per tornare a casa da qualsiasi punto della Terra, ma anche abbastanza per darmi una mossa a trovare lavoro. È fondamentale trovare la forza interiore per affrontare tutto: un giorno trovai una ragazza pakistana sulle scale dei dormitori, piangeva seduta tra le sue valigie. La aiutai a traslocare e diventammo subito amiche. Nadia non era mai stata fuori da Peshawar, non sapeva cosa fosse un bancomat e fino al giorno prima, se aveva voglia di bere un tè, chiamava la serva col campanello. Il giorno dopo cominciò la sua carriera di medico, che ancor oggi procede a gonfie vele. È la voglia di cambiamento che può far girare la ruota nel senso che vogliamo noi.

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New Zealand – Leggerezza #2

Per chi volesse approfondire l’argomento scrittura o per chi volesse leggere i racconti di Lisa, qui l’indirizzo del suo blog www.deagostibus.it.


45 risposte a "Io viaggio leggera – Si viene e si va #6"

  1. Lisa… è Lisa! L’unica persona che (più o meno) conosco che non abbia bisogno di leggere per vivere più di una vita. Non c’è molto altro da dire 🙂
    E comunque il koala è stupendo 😛
    PS: che puzza farà mai la Libertà?

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    1. Per me é stata un’ulteriore e piacevole scoperta; se qualcosa avevo intuito leggendo il suo blog e in particolare i suoi racconti, con l’intervista ho potuto scavare un pochino di più nella sua storia e nel suo modo di pensare e mi sono lasciato travolgere dal senso dominante di leggerezza. Ecco perché ritengo che meriti davvero leggere i suoi scritti e aspetto il romanzo!
      Grazie Michele!

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  2. Sono rimasta davvero impressionata… sei un vero mito! Oltre all’enorme quantità di esperienze fatte, è incredibile il tuo spirito, la tua forza interiore. Grazie per aver condiviso tutto ciò.

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    1. Grazie cara, in realtà io ammiro molto la forza interiore di chi riesce a restare e non farsi abbattere dalla routine (e dalle notizie dei telegiornali). Ci vuole spirito a rimanere, io invece quando avevo un problema prendevo il traghetto e via… 😉

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    1. Ciao Grazia, prima di tutto grazie per il passaggio sul blog!
      Per me è stato bellissimo scoprire le avventure di Lisa, direi che è stato un privilegio.
      E quindi continuo a ringraziare Lisa!

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  3. Ciao Lisa, ciò che ti caratterizza è la capacità di rendere alla portata di tutti il partire e viaggiare verso i luoghi più lontani e inaccessibili, come rendere speciali, perché ricche di risate e parole dette con tanta fatica, le mattine scolastiche tra numeri e bans. Grazie per aver “viaggiato” con me tra le mura, purtroppo ora rovine, di…Hogwarts!
    Baci
    Monica
    P.S.
    Il divano e la tisana sono sempre disponibili!

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  4. Arrivo in ritardo. Adesso capisco il discorso sul Canada. Io viaggio molto, ma comodo, e non ho intenzione di modificare la mia vita. In realtà ho trovato fin da subito il mio Paradiso terrestre. Sarebbe più opportuno dire che me lo porto ovunque con me, perché è dentro di me. Per questo motivo che sia Torino, dove vivo, o una delle tante località che visito per lavoro, alla fine per me è sempre la stessa cosa. E se ovunque vado trovo sempre lo stesso me stesso, che viaggio a fare?

    Ti devo chiedere un paio di informazioni sulle droghe, se vorrai concedermelo. 🙂

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      1. Molto corretta, sì, ma non solo. Io sono me stesso ovunque vada, perché mi piaccio così, e qualunque luogo alla fine rispecchia sempre me, quindi perché spostarmi? Lo sai no?, che i luoghi che visitiamo non sono statici. Ad esempio, per me il Messico può avere un colore, un gusto, una sensazione diversa che per te, o per Lisa… Dipende dal viaggiatore, non dal luogo. La più bella esperienza di viaggio per una persona potrebbe essere un incubo per un’altra. Ecco, per me ogni luogo ha lo stesso colore, lo stesso gusto, ecc. Per questo viaggio con la mente. Con la mente ogni luogo è sempre diverso. Limitato? No, non direi. Se conoscessi la mia fantasia, non lo penseresti neanche tu… 😀
        Naturalmente ho viaggiato e chissà che non abbia incrociato Lisa proprio a Cuba, magari senza saperlo. 🙂

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        1. Grazie dell’ulteriore delucidazione, il tuo messaggio è molto chiaro.
          Ci tengo a precisare un aspetto, che riguarda prettamente la rubrica (poi ovviamente Lisa, se vorrà, risponderà per ciò che riguarda la sua esperienza). Non è mia intenzione far risaltare a tutti i costi le (belle) esperienze all’estero dei protagonisti delle interviste. L’obiettivo non è quello di dare il messaggio “Scappate dall’Italia, all’estero si sta meglio”. Io stesso scrivo ormai da 3 anni dall’Italia, dopo averne trascorsi 3 all’estero. E sto bene dove sto.
          Mi sono reso conto, tuttavia, parlando con amici e conoscenti, che c’è molta disinformazione. Molti credono che andare all’estero sia solo ed esclusivamente una scelta di carattere economico. “Immagino ti riempiano di soldi!”. Nella stragrande maggioranza dei casi, si pensa che si decide di andare all’estero per andare a fare la bella vita. E posso garantire che non sia assolutamente così.
          Inoltre, ciò che mi appassiona in questa rubrica è la scoperta dei tanti e diversi lavori/professioni che gli italiani all’estero fanno. Perchè anche qui c’è il luogo comune che all’estero ci vadano solo gli ingegneri.
          Ci tenevo a sottolineare questo aspetto. Grazie per la discussione!

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          1. Fai bene, anche se – e adesso faccio una battuta, ma solo fino a un certo punto – scappare dall’italia oggi potrebbe non essere una cattiva idea… E poi è importante guardarsi intorno e vedere come vivono gli altri, a volte ci si fa delle idee sbagliate frutto di mere ipotesi. Si potrebbe ad esempio scoprire che in Italia non si viva poi così male, con tutte le contraddizioni del caso. 🙂

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              1. Caro Salvatore, visto che siamo amici di blog da tanto tempo mi permetto di essere poco diplomatica nel mio commento, tanto ormai tu lo sai che non sono un pasticcino.
                Il mondo è bello perché è vario. Questo vale sia per me e te, che siamo diversi e a entrambi ci va bene come siamo, sia per il mondo in sé, che dal mio punto di vista se non si va a vedere non si può sapere quanto e come sia davvero vario. I turisti non vedono questa varietà. Chi va in un all-inclusive a Cancun per dieci giorni e dice che è stato in Messico mi fa venire l’orticaria (parlo in generale, non sto parlando di te, vorrei che questo fosse chiaro).
                Chi non esce mai dalle mura della sua città natale, o non esce mai dalla sua zona di comfort, può essere una perla meravigliosa, ma è e sarà sempre rinchiuso in una conchiglia, che non gli permette di sapere che c’è un mare intero, là fuori, da vivere e da scoprire. La conseguenza inevitabile di questa condizione, a mio parere, è l’impossibilità di apertura mentale.
                Mi fermo qui, perché questa non è sede di discorsi soci-politici, ma sono convinta che l’ignoranza dello sconosciuto porti alla paura e all’incomprensione che sta alla base di quasi tutti i conflitti moderni.

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                1. Io sono molto d’accordo con quello che dice Lisa. Provare è l’unica strada per conoscere. E di conseguenza farsi un’idea.
                  Proprio sabato parlavo con una persona che diceva: “è sbagliato andarsene, significa non tentare neanche di lottare”. In questo momento storico del nostro Paese, ci sono i presupposti per lottare e cambiare qualcosa?

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                2. Quando inizia la parte cattiva? Ah, avevi finito? Ops… 😀
                  Sì, la pensiamo allo stesso modo. Quello che ho scritto io, nei commenti precedenti, non prescinde e non viene confutato da ciò che hai detto tu. Ti contraddico solo su un punto: non serve uscire di casa per aprire la mente e abbandonare la propria zona di comfort. Lo si può fare benissimo lì dove si è. Certo, viaggiare lo rende più facile. Naturalmente, lo puoi immaginare da sola, io quando viaggio non sono un turista (purtroppo).

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  5. Parabéns Lisa! Adorei!Quantas saudades! quantas mudanças desde seu retorno para Italia! Família cresceu, minhas irmãs se formaram, meus sobrinhos seguindo carreiras e superando desafios. Enfim, as portas estarão abertas para recontar essa aventura! beijos.

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    1. ❤ ❤ Quantas saudades amigas. Obrigada por existir.
      Um dia eu vou escrever um romance sobre a nossa aventura e para o seu belo país. Um forte abraço.

      PS: Quero traduzir a sua mensagem em italiano 🙂

      Ana Cléia è la ragazza coi pantaloncini bianchi nella foto del Brasile. Scrive che le è piaciuto leggere dei miei viaggi e che ha nostalgia di me. La sua famiglia è cresciuta, le sue sorelle si sono diplomate e i suoi nipoti stanno facendo carriera e superando ogni sfida. (La ragazza a sedere è sua sorella: giovanissima, era già madre del bimbo più grande, che ogni giorno mi insegnava il portoghese e mi accompagnava dappertutto per assicurarsi che fossi al sicuro, e della piccola riccia. La bimba mora è figlia di un'altra delle tante sorelle).

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  6. Salvatore, la parte cattiva era insita nel rischio di offendere qualche stanziale dandogli dell’ottuso, ho notato che alla gente non piace sentirsi dire come dovrebbero vivere. All’inizio dei miei viaggi ero talmente “infoiata” con le mie esperienze che insistevo con tutti perché facessero altrettanto. Poi le mie amiche mi han preso da parte e mi han messo in riga, dicendo che avevo veramente rotto i cocones 🙂

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    1. Ahahah voglio conoscere le tue amiche! Chi si prende un disturbo del genere dev’essere un’ottima persona da conoscere. Nel senso che non tutti gli amici ti direbbero in faccia quello che hai bisogno di sentirti dire… Nei prossimi viaggi, cerca di prevedere una tappa anche a Torino, intesi? 😉

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      1. Sono fortunata, le mie amiche me le tengo strette ovunque vada. Non credo si possa fare amicizie da grandi, nel senso che non saranno mai come le amicizie di vecchia, vecchissima, data…
        Torino? Prenotata!

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  7. Occorre avere un grande equilibrio di base e grandi doti interiori per affrontare la vita e il mondo come fai tu. Ti ammiro anche se io conoscendomi non lo avrei mai fatto. pero’, ridotto in sedicesimi e’ il mio modo di viaggiare in bicicletta. 🙂
    Ciao
    ml

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  8. Bellissima storia Stefano, un grande augurio a Lisa perché possa presto tornare a seguire il richiamo della giungla 🙂 è proprio vero che quando inizi a fare la vita che vuoi, improvvisamente inizi a profumare di libertà e a sentirti anche più bella!

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    1. grazie Giulia, sono solo la penna che ha messo giù le avventure di Lisa. La sua storia è bellissima e ti dico che da un certo punto di vista spero che il richiamo della giungla si faccia sentire presto (compatibilmente con la possibilitá di Lisa di viaggiare), così faremo il seguito dell’intervista! Grazie del commento!

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