Oltre la zona di comfort – Si viene e si va #7

emigrazione, italiani nel mondo

Per questa puntata, abbiamo deciso di fermarci in Canada, a Vancouver: conoscerete una ragazza che ha abbandonato la Città Eterna per scoprire un nuovo paese. E un’altra lei.

Sabrina, le pagine di Pensieri strani…eri ti accolgono, benvenuta!

Sono Sabrina, 27 anni, nata e cresciuta a Roma.
Ho una formazione umanistica classica con un particolare amore per i libri e per il raccontare storie (ho autopubblicato un romanzo e ne ho altri in bozza), per la fotografia e per la natura. Il tutto aggiunto a una passione per tutto ciò che è creativo e per i media digitali, che è poi diventata lavoro.

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Sabrina e Peter

Durante il liceo ho anche scoperto un profondo amore per le culture straniere e in particolare per il Giappone: questo mi ha portato alla facoltà di Studi Orientali dove ho conseguito la laurea in lingue con focus su Lingua e Cultura Giapponese. Le materie di studio includevano letteratura e storia (giapponese, inglese, italiana), glottologia, lingua giapponese e inglese, filologia, arte orientale, e basi di cinese (anche se l’ho dimenticato, troppo difficile!). Argomenti che si sono rivelati estremamente interessanti e che mi hanno condotto verso realtà distanti, ma utili a comprendere meglio anche la nostra cultura. Inoltre, il Giappone per me ha un fascino che non si estingue e mi piacerebbe poterlo studiare ancora per raccontarne di più la cultura.

Dopo la laurea mi sono dedicata un po’ all’insegnamento delle lingue e alla traduzione, ma ho trovato lavoro nel campo della comunicazione online (blog e social media), a cui mi ero rivolta negli anni solo come a un passatempo. Il mio primo vero lavoro è stato in una startup come Social Media Manager e da lì ho poi continuato nello stesso settore ma per una società più grande, fino a quando ho lasciato l’Italia nel settembre 2013 con un biglietto di sola andata per Vancouver, dove vivo attualmente con Alex, il mio partner, e Peter Parker, un cagnolone adottato due mesi fa.

Qual è stato il canale che ti ha aperto le porte del Canada?

Siamo emigrati perché in Italia non stavamo più bene (e forse non ci eravamo mai stati), e Roma, una delle città che fa brillare gli occhi di emozione agli stranieri, ci sembrava un posto dove non potevamo più vivere. Sia io che il mio compagno avevamo fatto pochi viaggi all’estero, quindi puoi immaginare quanto fossimo eccitati e nello stesso tempo spaventati all’idea di partire!

Siamo arrivati in Canada con il Working Holiday Visa, un visto lavorativo di soli sei mesi che si può ottenere tramite l’Ambasciata Canadese dall’Italia. È l’unico visto che si può ottenere sempre, senza necessariamente passare tramite uno sponsor. Il problema è che per gli italiani è di soli sei mesi (la maggior parte degli altri paesi ha il WHV di un anno) e non è rinnovabile, quindi alla scadenza si deve ottenere un nuovo tipo di visto.

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Devonian Harbour Park

Raccontaci un po’ della tua esperienza sulla costa Ovest del Canada.

Il mio primo lavoro canadese è stato quello di Web Marketing Manager per una piccolissima web company a East Vancouver: sono stati sei mesi (cioè la durata del visto, come detto prima) molto utili per iniziare a interagire in inglese in ambiente lavorativo. Nel frattempo, lavoravo anche come volontaria un paio di volte la settimana per una charity fondata dal Dalai Lama. Poi, dopo uno stop forzato di due mesi dovuto al rinnovo del visto, ho iniziato a cercare di nuovo lavoro, ma per un po’ non ho avuto particolare fortuna, per cui ho continuato a dedicarmi al volontariato e ho organizzato un evento animalista per una charity statunitense.

In quel periodo ho speso molte energie per conoscere il mondo del lavoro canadese, dedicandomi alla ricerca di eventi di networking: sono così venuta in contatto con persone di una gentilezza squisita (e disinteressata), che si sono prese del tempo per aiutarmi a migliorare il resume (il CV nord americano) e la cover letter (importantissima quando si risponde a un annuncio di lavoro). Addirittura, una volta una ragazza conosciuta tramite Linkedin mi ha fatto fare il giro degli uffici di una grande azienda nord-americana per farmi vedere le diverse funzioni e per farmi conoscere un po’ di persone che mi hanno raccontato della loro esperienza lavorativa.

Un giorno di luglio, ho trovato un annuncio in un negozio per un ruolo da Sales Assistant per un famoso brand canadese: ho deciso di provare, sebbene non avessi mai fatto quel tipo di lavoro e non sapessi se fosse adatto a me. Dopo ben tre colloqui, sono stata assunta e sono rimasta con loro per più di sette mesi. Anche questa esperienza si è rivelata utilissima, specialmente perché ho iniziato in estate quando c’era il boom di turisti: parlare tutti i giorni con persone da tutto il mondo mi ha permesso sia di migliorare la lingua a livelli altissimi, sia di farmi scoprire un lato estroverso di me che non conoscevo. Ho così aggiunto al mio resume l’esperienza di customer service, estremamente importante per chi vuole lavorare nel marketing e nel business management.

Da marzo di quest’anno ho un nuovo lavoro di cui, lo dico, sono molto orgogliosa, perché l’ho ottenuto dopo tanto tempo passato a mandare resume e a cercare di migliorarmi (professionalmente, linguisticamente e mentalmente). Non mi sono arresa (questa è un’importante lezione canadese, mai arrendersi!) e alla fine ho avuto successo, entrando in una fin-tech startup situata a Gastown, il quartiere “più antico” di Vancouver.

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Uno scorcio di Gastown

La CEO è una persona alla mano che ha dimostrato da subito tanta fiducia in me: è stata proprio lei ad assumermi, sia per la mia esperienza variegata, sia perché sono stata l’unica ad averle mandato una cover letter in cui rispondevo dettagliatamente a tutto quello che lei aveva chiesto nell’annuncio di lavoro.

Il mio ruolo è quello di Operations Manager: le mie funzioni attuali riassumono quelle di una office manager (organizzare il team, preparare le buste paga, coordinare spese e budget) e di una marketing assistant (faccio ricerche per nuovi articoli, pubblico sul blog aziendale, contatto i clienti e altre startup). Sono molto soddisfatta, perché rivesto un ruolo importante che richiede organizzazione e metodo ma che non mi costringe a un’unica mansione (ad esempio, lavorare solo come social media manager si era rivelato estremamente noioso e frustrante).
Inoltre, lavorare in una startup non è per tutti: l’ambiente è estremamente dinamico, bisogna essere pronti a mettersi in gioco, avere spirito di iniziativa, avere una mente aperta e sveglia ed essere capaci di apprendere in poco tempo.

Quali sono state le difficoltà di ambientamento, se ci sono state?

La difficoltà maggiore è stata sicuramente la lingua.

Ritrovarsi improvvisamente in un paese in cui si parla una lingua che non è quella con cui si è cresciuti, implica un impegno notevole, a cui non si è abituati, per comprendere le conversazioni e pensare alle risposte!

I primi tempi ero terribilmente impacciata e mi sentivo stupida perché, mentre in italiano ero abituata a parlare “a manetta”, come si dice a Roma, lì non riuscivo a dare risposte immediate. Io avevo studiato inglese solo a scuola (e in Italia purtroppo non lo insegnano bene) e ho poi cercato di migliorarlo da sola, guardando film e serie tv in lingua originale (cosa che mi ha molto aiutato).

All’inizio mi capitava addirittura di aver male alla bocca, perché dovevo sforzarmi nella pronuncia inglese che non mi usciva naturale. Il mio compagno ed io abbiamo così deciso di parlare solo in inglese anche a casa (adesso ogni tanto parliamo italiano tra noi); è stato poi fondamentale fare amicizia con persone straniere, evitando di fare gruppo con gli altri italiani, proprio per non cadere nella tentazione di parlare sempre la nostra lingua. Dopo il primo anno, comunque, posso dire che le difficoltà più impegnative sono state superate.

C’è qualche aneddoto particolare che dimostri la differenza con l’Italia?

Ci sono vari episodi “emblematici” che mi hanno fatto pensare “non sono più in Italia”: dal customer service americano in cui tutti chiedono come stai (compresi gli autisti del bus!) alla gentilezza inaspettata di tante persone, tra cui la nostra prima padrona di casa che ci ha invitati a casa sua con tutta la famiglia in occasione del Family Day e della vigilia di Natale.

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Il primo quartiere dove Sabrina ha vissuto

Altri episodi che mi sono rimasti impressi riguardano il quartiere residenziale di East Vancouver, tutto casette e giardini, dove abbiamo vissuto all’inizio. Mi è capitato varie volte di vedere case con le porte aperte o con solo la porta a zanzariera chiusa, i giardini pieni di cose lasciate incustodite, tra cui il barbecue, biciclette e giocattoli, e addirittura ho visto persone entrare direttamente dalle porte a vetri dei giardini o prendere le chiavi nascoste sotto il vaso davanti alla porta! Immagini da film che descrivono un clima di rilassatezza unico.

Mi piace anche ricordare un episodio più personale che riguarda il nostro primo incontro con T. che è oggi, insieme alla moglie, uno dei nostri migliori amici qui. Era il secondo giorno dal nostro arrivo in Canada, eravamo totalmente spaesati e dovevamo prendere l’autobus ma non sapevamo dove comprare i biglietti. Io mi avvicino a quest’uomo in giacca e cravatta alla fermata del bus per chiedere informazioni e lui con un sorriso mi regala i biglietti, dicendo che se fossimo andati a comprarli avremmo perso il bus che stava arrivando. Una volta saliti, abbiamo parlato un po’ e ci siamo scambiati i numeri di telefono. Francamente pensavo che non lo avremmo più rivisto. Invece il giorno dopo ci chiama e ci porta in giro per Vancouver con la sua auto, per farci conoscere la città. Da allora non ha smesso di aiutarci.

Abbiamo conosciuto tante altre persone e ovviamente non siamo stati sempre così fortunati, ma in generale sono stati tutti cordiali, gentili e pronti a mettere a proprio agio: ormai ci piace andare a feste dove non conosciamo nessuno perché capita sempre di fare qualche nuova amicizia.

Dai tuoi racconti, ho come l’impressione che l’Italia non ti manchi per nulla…

Sono sincera, l’unica cosa che mi manca dell’Italia, a parte i miei genitori e il mio cagnolino, è il parlare italiano.

Quando siamo partiti avevo paura che non avrei vissuto bene all’estero e che saremmo dovuti tornare con il peso del fallimento. Sarebbe stato brutto perché abbiamo deciso di andare via proprio per trovare un posto migliore dove vivere.

Ci sono tanti aspetti del nostro paese che non accettiamo nè condividiamo. Ci siamo sentiti per tanto tempo insoddisfatti e “stranieri” in Italia, stanchi di dover accettare che “le cose stanno così e basta”, bloccati nelle disfunzioni della nostra città, in cui (quasi) tutti sono arrabbiati e disillusi.

A Vancouver forse mancheranno gli anni di storia e i monumenti antichi, ma ho trovato una città che convive con la natura, in cui l’aria sembra più pulita, dove le persone vengono (quasi sempre) da qualche altra parte del mondo (o del Canada) e hanno voglia di raccontare la propria storia, e sono stata sorpresa da una cordialità e da un livello professionale che in Italia nemmeno sognavo.

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Vancouver vista dal Queen Elizabeth Park

Di sicuro, ci troviamo meglio a Vancouver che a Roma, anche se molti si lamentano di quanto sia costosa: ma se da una parte questo è vero, paragonata ad altre parti del Canada, dall’altra è innegabile che ci siano migliori stipendi. Qui ci siamo realizzati in un anno e mezzo e abbiamo davvero iniziato la nostra vita da “adulti”, cosa che in Italia accade troppo tardi. Per fare un esempio concreto, qui possiamo permetterci un appartamento in centro (ne stiamo proprio ora cercando uno più grande in una zona più tranquilla) e abbiamo adottato un cane, mentre a Roma dovevamo vivere con i nostri genitori, non potendo sostenere le spese del vivere da soli.

Ora hai gli occhi da espatriata: come vedi l’Italia?

Mi piacerebbe moltissimo vederla come la vedono gli stranieri. Quando lavoravo al negozio avevo occasione di parlare con turisti da tutto il mondo e, ogni volta che scoprivano che sono italiana e addirittura di Roma, spalancavano gli occhi e mi chiedevano perché mai vivessi in Canada. Per loro l’Italia è un paese meraviglioso, come quello dipinto nei film classici degli anni ’60, e mi dispiace sinceramente pensare a come sono ridotti il nostro Paese e la mia città.

L’Italia ormai infonde in me solo malinconia: una terra bella e dalle potenzialità così alte, rovinata da chi dovrebbe proteggerla e nutrirla. Vedo Roma come una città antica schiacciata dal peso delle macchine e da persone ignoranti che vogliono fare i padroni su tutto e tutti, mentre il resto della popolazione è stanco e arrabbiato.

Lo so che ci sono anche tante persone buone e volenterose in Italia. Le ho conosciute soprattutto nell’ultimo anno prima di partire, nell’ambiente delle startup: donne e uomini che stavano dando vita alle proprie società o che lavoravano a progetti per migliorare il paese. Purtroppo so anche che molti di loro oggi sono all’estero: vivere in Italia, alla lunga, toglie la forza di provarci e alla fine ci si ritrova ad alzare le spalle e a dire “tanto funziona così, non si può fare niente”.

La tua delusione mi fa pensare che nel tuo futuro tu veda ancora estero, giusto?

In Italia non torneremo sicuramente. Il nostro progetto (prima e ora) è di stabilirci in Canada in modo definitivo, per cui siamo in attesa della Permanent Residency e poi aspetteremo di poter applicare per la cittadinanza.

Non so se in futuro ci trasferiremo in qualche altra città del Canada (o del mondo!), ma Vancouver è così bella che adesso mi vedo a vivere solo qui, anche se purtroppo le case sono molte costose per cui non credo potremo mai comprarne una.

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Kitsilano

La tua esperienza è stata particolare: dagli studi orientali al marketing e business management. La tua scelta universitaria non ha avuto seguito…

Infatti, a proposito dell’università, non mi sento di dare consigli! Dopo il liceo, io ho scelto abbastanza inconsciamente, buttandomi su ciò che all’epoca adoravo: tuttora il Giappone mi piace ma, se potessi tornare indietro, forse sceglierei qualcosa di più pratico, legato appunto al business management e al corporate communications, possibilmente in inglese, così da poter sfruttare gli studi in tutto il mondo.

Diciamo che per me l’università resta quel mondo a parte dove ci si può dedicare allo studio fine a se stesso, utile soprattutto a livello umano e culturale. Se potessi, tornerei subito a studiare: le università qui nel Nord America sono meravigliose!

Per il lavoro ritengo più importante mettersi in moto mentre si è ancora all’università, facendo stage o lavori in cui si può iniziare senza esperienza, così da costruire in modo intelligente il curriculum, puntando sulle esperienze fatte ed evidenziando quello che si è studiato in relazione al lavoro che si cerca, senza dare troppo peso all’università in sé. Questa è una cosa che ho imparato in Canada e di cui in Italia nessuno mi aveva parlato. Probabilmente, se lo avessi saputo prima, mi sarei risparmiata tanta fatica dopo l’università per trovare un lavoro.

Oggi, puoi affermare con certezza che bisogna fare un’esperienza all’estero. Qual è il momento giusto per farla?

Vivere all’estero, non importa in quale parte del mondo, dovrebbe essere un’esperienza obbligatoria per qualsiasi persona, perché conoscere come si vive fuori dal paese di origine è altamente educativo.

Per gli italiani, consiglierei di prendersi un anno sabbatico dopo l’università (se si è in corso, a 22 anni si è finita la triennale) e di andare a vivere in un paese estero, o almeno di viaggiare molto.

Trovo che sia un momento perfetto, perché si è ancora molto giovani ma non troppo, e si può imparare molto da altre culture. Soprattutto, si tocca con mano che le cose funzionano bene in altri paesi e quindi si può tornare in Italia con una mente critica, volta al miglioramento dello status quo. Inoltre, è un momento di transito in cui ancora non si hanno troppe responsabilità e si può partire senza troppi ostacoli.

In generale, consiglio a chiunque di vivere all’estero, a qualunque età. Se potete, andate! Non è necessario imbarcarsi per il Canada o l’Australia, che sono paesi lontani e per cui serve il visto (anzi, la maggior parte delle volte li sconsiglio), ma si può sicuramente sfruttare la fortuna che abbiamo di poter viaggiare in tutta Europa senza limitazioni e con voli brevi ed economici.
Mi dispiace molto di non aver viaggiato di più in Europa quando abitavo in Italia, perché ora è ovviamente più difficile (e costoso!) dal Canada.

Mi rendo conto che quando vivevo in Italia ero una me diversa, introversa, bloccata nella mia “comfort zone” e poco propensa all’avventura.

Se potessi vedermi con gli occhi di allora, sono sicura che non mi riconoscerei! Anche a questo serve vivere da soli all’estero: per scoprire davvero se stessi e imparare ad agire veloci senza farsi frenare dalla paura del cambiamento.


Il sito di Sabrina – Miso Journal – www.sabrinamiso.com

Il libro di Sabrina – La solitudine degli Dei


33 risposte a "Oltre la zona di comfort – Si viene e si va #7"

  1. Anche questa è una bellissima intervista! Grazie a Sabrina per la sua preziosa testimonianza. Vorrei citare qui una frase che mi ha colpito “tanto tempo passato a […] cercare di migliorarmi (professionalmente, linguisticamente e mentalmente)”. Credo che essere all’estero ti metta di fronte alla necessità di fare i conti con te stessa e quello che davvero sei. Il concetto di migliorarsi mentalmente dovrebbe essere insegnato a scuola.
    Stefano questa tua rubrica mi piace sempre più 🙂

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    1. Cara Tratto d’unione, sono davvero contento che la rubrica ti piaccia, grazie!
      Come dico sempre, il 99,9% del valore di queste interviste lo fanno le esperienze di queste ragazze e ragazzi che si sono lanciati in un’avventura mai facile e banale. Lo 0,01% è il mio editing, ma almeno so come occupare le mie pause pranzo!
      A proposito di Sabrina, anche a me è piaciuto moltissimo l’approccio mentale, che credo emerga proprio dal racconto della sua esperienza. Spinta da una necessità di cambiamento “forzata”, è venuta fuori una persona nuova, sconosciuta a lei stessa e quindi mi sento di dire, migliore. Ecco perchè l’intervista ha il titolo “Oltre la zona di comfort”, che è un po’ quello che dovrebbero fare tutti coloro che si dedicano allo sterile lamento.
      Grazie del passaggio e ci aggiorniamo alle prossime interviste!

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    1. Io riprendo le parole di Sabrina “a qualunque età”. Certo, quando si è più giovani, è tutto più semplice, ma è una di quelle esperienze (e io lo dico ovviamente perchè vissuta in prima persona) che, una volta fatta, fa pensare “Ah, se l’avessi fatta prima!!”. Per cui in ogni caso, meglio farla!
      Grazie del passaggio, Chiara!

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    2. sono pienamente d’accordo con te sulla prima frase. Più vado avanti e più cresce in me il sogno di andarmene e in particolare di trasferirmi in Canada.

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      1. Ciao Davide, intanto benvenuto nel blog. Lo scopo di questa rubrica è quello di stimolare o quanto meno di portare a conoscenza di ciò che ragazze e ragazzi di Italia hanno fatto, con le dovute difficoltà prima e durante. Credo sia anche importante avere questi riferimenti qualora uno stia proprio pensando di fare il salto. Nelle 9 interviste abbiamo viaggiato attraverso la Cina, la Finlandia, il Sudafrica, l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti, la Russia. Ne abbiamo viste già parecchie e spero che io abbia la fortuna di poter intervistare altre belle persone, che vogliano raccontarmi le loro esperienze.
        Continua a seguire la rubrica! A presto!

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  2. Beh sì, con i soldi del papà è tutto molto facile, ma a casa mia m’avrebbero detto, “ma vai a lavorare, va!”… Personalmente, credo sia inutile dare voce a questo tipo di esperienze, perché sono poco rapportabili alla realtà di chi emigra senza un sostegno economico reale alle spalle. Insomma, nella realtà e detto in maniera più “terra terra”, la ragazza ha fatto per qualche mese la commessa, nei restanti mesi la volontaria o quasi… l’affitto e le spese come le pagava? Sono davvero storie che possiamo evitare di leggere. Scriverle addirittura dovrebbe essere fastidioso. Contenti voi…

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    1. Ciao Stefano, non rispondo per Sabrina, che se vorrà ti darà la sua versione e visione, ma rispondo per quello che riguarda la mia parte.
      Scrivere non è per nulla fastidioso, anzi. Avendo vissuto per 3 anni in Cina, conosco molto bene le difficoltà di chi si ritrova in un paese straniero, ma mentre la mia trasferta era “programmata” (sapevo quando partivo e dopo quanti anni tornavo), per persone come Sabrina è ancora più dura. Io non so che supporto economico avesse e neanche mi interessa. Chi mi dice che non avesse messo da parte risparmi che le hanno consentito di andare in Canada in maniera autosufficiente?
      Ultima cosa: “possiamo evitare di leggere”. Appunto. C’è libertà sia nello scrivere ma soprattutto nel leggere. Sai già che eviterai di leggere questo blog. Pazienza.

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      1. Ho vissuto per più di 3 anni all’estero anche io, per diverse esperienze, fra cui c’è anche il WHV Canada, paese che amo. Non serviva sbandierare la tua esperienza in Cina: al giorno d’oggi tanti hanno avuto esperienze all’estero e tutti per i più disparati motivi… Il punto è un altro: dare un taglio di questo genere ad un articolo sull’espatrio, senza una solida base di pragmatismo, non solo ritengo sia dannoso per i più giovani, ma anche e soprattutto fastidioso per chi cerca notizie e informazioni più vere… Se non lo sai o non l’hai voluto scrivere, io credo che sia una tua mancanza da autore. Senza nulla togliere alla ragazza in questione, “che se vorrà ci darà pure la sua versione” (ma anche chissene, dato che l’articolo l’hai già scritto e pubblicato e i commenti li leggono in pochi), il punto è che chi scrive dovrebbe essere più attento a certi “dettagli”-intitoli l’articolo “oltre la zona di comfort” e poi non sai o non scrivi queste informazioni? Forse non ho capito di cosa volevi parlare allora. Però, se vuoi, parliamo pure delle mie vacanze al mare dell’anno scorso.

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        1. Accetto la critica senza problemi, ne terrò conto per le prossime interviste. Non sono uno che cerca consensi, ma che cerca di creare un po’di informazione, basandomi sulle esperienze delle persone e cercando di condensare il tutto in un tot di parole.
          Tuttavia: io non ho bisogno di sbandierare proprio nulla, anche perchè questo blog è attivo da 3 anni e quindi non ho bisogno di farlo sapere. Ho sempre e solo raccontato ciò che di buono c’è in un’esperienza all’estero (la mia, si intende) e ciò che di buono c’è nel rimanere in Italia. Quindi, critiche costruttive ben accette, le polemiche invece stanno a zero.
          Infine, le cose si possono dire in tanti modi: accetto la critica sul modo di esporre i contenuti, ma dal momento che ti presenti con un nome e una pseudomail, ritengo che quanto meno ci debba essere un po’di acidità in meno. Per quello che mi riguarda, comunque, ti ringrazio per avermi fatto notare degli spunti di miglioramento.

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          1. Per rispondere alla questione soldi (che so benissimo essere molto importanti dal momento che purtroppo non sono ricca): siamo partiti in due dopo aver messo da parte sui 10k (lavorando entrambi). A Vancouver ho sempre lavorato a parte 3 mesi, in cui abbiamo usato i nostri risparmi (e credimi, non è stato facile dover pagare affitto ecc senza una entrata). Non essendo da sola, le spese sono divise col mio compagno, ovviamente. Questo è tutto. Non faccio pubblicità al Canada, anzi lo sconsiglio la maggior parte delle volte. Ci vuole molta preparazione per affrontare un viaggio del genere e molti risparmi. Dopo il primo periodo in cui siamo stati molto risparmiatori ora possiamo stare tranquilli (sempre sperando non succeda nulla) e possiamo permetterci di cercare casa più grande, ecc. Devo dire però che in generale non spendiamo soldi inutilmente, mentre conosco canadesi che sono messi peggio di noi perché qui usano molto le credit card e spendono più di quanto possono.

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            1. Vorrei precisare un’ultima cosa: come ho scritto nell’intervista, a Roma non potevo permettermi di vivere da sola, né di fare tanti viaggi, proprio per poca disponibilità economica! I miei mi hanno supportato nell’ultimo anno prima di partire perché mi hanno permesso di mettere da parte quasi tutto quello che guadagnavo, ma adesso mi supportano solo emotivamente.

              Lo stipendio che prendevo lavorando full time a Roma, adesso lo prendo in una settimana… tutto quello che abbiamo ora è, però, arrivato dopo un periodo di sacrifici (abbiamo vissuto in una casa che era una sola stanza praticamente, per quasi un anno).
              Bisogna calcolare in anticipo le proprie possibilità, realisticamente, e poi provare e impegnarsi senza arrendersi. 🙂

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  3. Bellissimo pensiero e tantissimi complimenti! Ci vuole molto coraggio e determinazione per riuscire in queste cose! Anch’io mi sento un po’ straniero in Italia, avendo già vissuto all’estero…ho da poco ricevuto un’offerta all’estero e sono ancora indeciso se accettare o no, anche se al momento sto lavorando qui in Italia…sto lavorando come controllore sugli autobus nella mia città, e mi sto rendendo conto ancora di più di come le cose non funzionino per niente qua da noi (addirittura la gente è contenta se prende la multa così che può girare in bus durante il giorno, tanto non le pagheranno mai, e non parlo soltanto di gente povera o indigente, ho fatto più multe ad avvocati italiani che ad extracomunitari). Qui manca completamente l’educazione, la cultura della legalità, e la colpa è non solo dei politici, ma anche degli stessi cittadini, preoccupati più per lo scudetto ed il grande fratello che per i propri diritti. Intendo perfettamente il tuo messaggio di invasione della tua “comfort zone”, anche a me il fatto che siamo il paese più bello del mondo con la cucina migliore e che abbiamo tante eccellenze ormai non basta più! Il vero problema dell’Italia è che gli stranieri la amano, conoscono e soprattutto rispettano molto più di noi italiani. Poi è chiaro che ci sono tantissimi connazionali bravissimi che purtroppo non possono esprimersi qui dato che l’ambiente è marcio.
    Riguardo le polemiche, mi sembrano inutili, ogni persona deve cercare di pianificare al meglio le proprie esperienze anche in base alle proprie possibilità economiche (conosco un sacco di gente che era convinta di fare il Paperon de’Paperoni all’estero, ed è tornata a casa con la coda tra le gambe e senza più una lira); ognuno ha la sua esperienza personale e trasferirsi all’estero non è per tutti quanti, per quanto consiglio vivamente di provare almeno una volta l’esperienza, e non per forza di cose lontano da casa e comunque vada sarà un successo. Grazie della tua condivisione ed in bocca al lupo per tutto 🙂
    ps complimenti per la rubrica, spero di leggere più articoli 😉

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    1. Ciao Massimiliano, grazie per il passaggio e per i complimenti, fanno sempre piacere! Se ti iscrivi al blog, vedrai che la rubrica si arricchirà nei prossimi mesi. E poi ci sono anche le puntate vecchie! 😉
      Più volte nel mio blog ho scritto che il vero problema dell’Italia siamo noi stessi, in quanto NON-cittadini. Privi di senso civico e di rispetto per chi e per ciò che ci circonda. I politici li mandiamo noi a Roma!
      Sulle polemiche, ho già detto la mia.
      Se tornerai all’estero, tieniti in contatto con il blog, magari ci scappa l’intervista!
      Grazie ancora, a presto!

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  4. Bellissima intervista! Mi ha fatto piacere sapere più cose di Sabrina, la sua visione di Vancouver è molto diversa dalla mia perché io sono arrivata senza intenzione di restare, ma sono d’accordo con lei che la qualità della vita sia molto alta in British Columbia.
    Tramite il blog di Sabrina l’ho contattata per conoscerla e lei è stata super carina, ha accettato subito e, come sicuramente avrete notato dalle foto, è una bellissima ragazza, intelligente, dolce, con il fidanzato perfetto e il cagnolone perfetto. Sembrano appena usciti dal Mulino Bianco. Sono fiera che ci siano italiani come loro in giro per il mondo, e non solo i burini che ci danno la fama di cafoni mafiosi con cui spesso dobbiamo fare i conti.
    Sono certa che la scelta di lasciare l’Italia non sia stata facile, e sono felice di vedere che si sono ambientati così bene, sono certa che avranno un grande successo!
    PS: Bravo Stefano, anche stavolta hai fatto un’ottima intervista, coprendo tutti i settori di interesse dei lettori.

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    1. Ciao Lisa, anche per me è stato interessante scoprire Vancouver da un altro punto di vista. Al momento il Canada è il più rappresentato nelle interviste e in effetti in ognuna delle tre descrizioni ci sono elementi peculiari.
      Non troppi complimenti, per caritá, sennò scateniamo polemiche!
      A presto!

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  5. Io però non ho capito una cosa: dopo i primi 6 mesi di working holiday che tipo di visto ha fatto per poter lavorare? Ha trovato uno sponsor? Mi pare non sia proprio così semplice … anzi…

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    1. Non è semplice per niente. Durante i primi sei mesi di visto il mio compagno ha trovato uno sponsor (la sua posizione rientra in quelle tra le più richieste, cosa che avevamo appurato prima di partire). Quando è scaduto il primo visto avevamo già applicato per ottenere la PR tramite un programma provinciale ma i tempi di attesa sono molto lunghi, quindi siamo dovuti rimanere più di 2 mesi con un semplice visto da turisti (quindi non potendo lavorare) prima di ottenere un nuovo work permit.

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  6. Ciao Sabrina, anch’io e la mia ragazza volevamo andare a Vancouver quest’anno con il programma IEC ma purtroppo abbiamo perso l’occasione perché non sapevamo quando si sarebbe aperta la possibilità di candidarsi e ce ne siamo accorti in ritardo. Comunque, la volontà è rimasta, ma ormai se ne parla per il prossimo anno.Volevo chiederti cos’è il “PR” e se prima di candidarsi per questo “PR” deve passare un tempo minimo oppure, per guadagnare tempo, ci si può candidare fin da subito (appena arrivati in Canada). Com’era il vostro livello di inglese?Inoltre, se puoi, vorrei sapere quale posizione ricopre il tuo compagno? Grazie,

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    1. Ciao Davide,
      con “PR” intendo la Permanent Residence, ovvero il diritto di residenza permanente (senza avere bisogno di visto).
      Purtroppo, per ottenerla devi avere determinati requisiti e applicare tramite uno dei programmi del governo o della provincia dove vuoi abitare.
      Trovi tutto su http://www.cic.gc.ca/english/

      Il nostro livello di inglese non era eccelso ma ci permetteva di capire e farci capire. Ovviamente ora è mooolto meglio, ma bisogna continuare a lavorarci sempre (e la differenza con gli anglofoni si nota purtroppo).

      Il mio compagno è un web developer and designer.

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      1. Grazie per le info. Ti ho chiesto del livello di inglese perché sapevo che per ottenere il WHV bisogna avere un buon livello di inglese oltre a particolari competenze in qualche settore. Per ottenere il WHV si deve attendere un bando oppure in qualsiasi momento basta fare la domanda all’ambasciata canadese dall’Italia?

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        1. Per ottenere il WHV deve aspettare che sia aperta l’iscrizione, e devi anche sbrigarti perché nei primi 5 minuti già i posti sono esauriti. Non so adesso cosa sia richiesto per partecipare, cambiano le regole ogni anno per cui leggi bene sul sito dell’Ambasciata.

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    1. Ciao inkdropjo, benvenuto! Proprio ieri ho pubblicato un post su una ragazza, Elena, che si è trasferita a Londra da un po’.
      Se passi nella rubrica Si viene e si va, vedi negli “speciali” tutta la storia di Elena. Inoltre, vedi tutte le interviste. Preparati e stay tuned, da ottobre parte la nuova stagione!

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