Considerazioni a caldo sul referendum

rottamazione, Renzi, IoVotoNo
Anche Renzi rottamato?

In questa mattinata di scossoni politici, legati a un voto referendario che ha sancito in maniera inequivocabile l’idea che gli italiani si sono fatti delle riforme, ho provato a riavvolgere il nastro, riprendendo un post che avevo scritto quattro anni fa e ho scritto alcuni appunti, evidenziando ciò che, da un punto di vista manageriale, ha condotto Renzi alla débacle. Questa vuole essere un’analisi oggettiva sul Renzi manager politico, quindi se vi aspettate che vi dica perchè ha vinto il No, potete fermarvi qui nella lettura.

Scrivevo nel post Con queste facce qui, nel settembre 2012:

Credo che per la politica il vero oceano blu sia innanzitutto generare una nuova forma di comunicazione, basata non sulla forza delle parole, ma sulla potenza dei contenuti. […] Se vincerà le Primarie, Renzi dovrà dimostrare di offrire un programma che sia veramente innovativo, staccandosi dal vecchio modo di fare politica; se perderà, dovrà essere in grado di supportare il suo partito, per creare veramente un’area progressista sul modello americano. Con queste facce qui, non è più tempo di bluffare.

La storia la conoscono tutti: Renzi perse le Primarie contro Bersani, il quale poi non riuscì a formare il governo, facendosi ridicolizzare dai grillini. Nacque così l’ennesimo governo di larghe intese, con Enrico Letta poi spodestato un anno dopo proprio da Renzi, che lo accusò di immobilismo e di scarsa capacità riformatrice. Dopo 1015 giorni, ci ritroviamo a certificare l’ennesima crisi di governo. Quali sono stati i punti nodali di questa sconfitta, inattesa soprattutto nelle proporzioni?

Egocentrismo. In questi quattro anni, Renzi ha cavalcato l’onda della rottamazione, in una prima fase con successo. Rappresentava l’alternativa all’establishment, a quella classe politica conservatrice per natura, attaccata alle poltrone; era un Grillo in giacca e cravatta, con quell’accento toscano che evoca sempre un po’di simpatia; con sprezzo del pericolo, ha raso al suolo il vecchiume prima di tutto all’interno del suo partito e poi tutto intorno. “Chi mi ama, mi segua: finchè ci sono io, qui si vince facile”. Atteggiamento da invincibile che lo ha portato, nel corso del tempo, a perdere l’identità politica: chi è al governo? Il PD con qualche alleato o Renzi con uno stuolo di amichetti? Un manager deve essere sempre chiaro e trasparente: gli italiani hanno compreso fin troppo bene la sua camaleonticità democristiana e lo hanno sfiduciato. Sebastiano Messina, su Repubblica, sostiene che

mai un uomo politico era riuscito così rapidamente a far nascere un sentimento trasversale, profondo e multicolore, dall’estrema destra all’estrema sinistra, un sentimento che ha finito per tagliare in due persino il suo stesso partito: l’antirenzismo.

Un manager forte è un manager umile. Un manager che vuole cambiare le cose non si circonda di Yes-Man, ma di persone capaci che siano in grado di sostenere con forza le linee guida definite dal capo, ma anche di contrastarle, in un clima dialettico aperto e di compromesso. Saper ascoltare gli altri non è segno di debolezza, al contrario consente di sostenere e incrementare la propria autorevolezza; saper riconoscere i propri errori, inoltre, è segno di grande intelligenza e in questo Renzi ha dimostrato un orgoglio deleterio, che lo ha portato a spaccare il partito che invece avrebbe potuto (e dovuto) supportarlo fortemente in questa campagna referendaria. L’uomo solo al comando ha perso il timone e, per l’appunto, è rimasto solo.

La comunicazione è importante. Bisogna ammettere che i vari Bersani e D’Alema, rottamati di lusso, sedevano sulla riva del fiume da tempo, in attesa del cadavere di Renzi. Che, puntualmente, è arrivato. D’altro canto, l’ormai ex-premier non ha mai fatto nulla per mantenere i rapporti con i colleghi ai limiti della sopportazione. Tweet ironici, battute sarcastiche nelle sue comparsate in tv o nelle interviste, toni sprezzanti nei confronti di chiunque (“Fassina chi?”, tanto per ricordarne una): all’inizio il suo tono comunicativo sferzante è stato convincente, era sintomo di freschezza e novità, ma con l’andare del tempo è risultato essere ripetitivo e sempre meno efficace. Una comunicazione più pacata, più istituzionale e meno personalizzata gli avrebbe permesso di evitare, probabilmente, il fuoco amico.

E ora che cosa succederà? Al di là delle dimissioni dovute e tempestivamente comunicate, starà a Renzi fare un’attenta autocritica e imparare dai suoi errori. Dovrà capire se si potrà ricostruire una squadra (il PD) disintegrata dalle guerre interne oppure se intraprendere nuove strade. Sapendo, però, che le rottamazioni, ad un certo punto, devono finire.


10 risposte a "Considerazioni a caldo sul referendum"

  1. Non seguo la politica, però non capisco perché tutti si ostinino a continuare con l’alleanza moderata di sinistra / di destra anziché fare NUOVI partiti che almeno illudano un cambio. Gli italiani sono convinti che tanto non cambia niente… e come dargli torto?! Non cambiano né i suonatori né la musica…

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    1. Hai ragione Isa, dall’altra credo che fino a che non ci sia una legge elettorale che garantisca la governabilità, non si possa andare oltre queste pseudo-alleanze basate sulla necessità di vivacchiare in parlamento e non certo sui programmi politici. Lo stesso Movimento 5 Stelle, che in questo senso rappresenta l’unico partito a non voler spartire niente con nessuno, con l’attuale legge elettorale (che è puramente proporzionale), non potrebbe governare, perchè non avrebbe in Parlamento voti sufficienti per ottenere la fiducia. Occorre sempre considerare, purtroppo, l’intero impianto politico e gli italiani ormai lo sanno.
      I due schieramenti antitetici, come nel mondo anglosassone, in Italia non saranno mai possibili. Del resto, anche in Francia, con l’ascesa del movimento lepenista e in Spagna, con Podemos, si sta creando una configurazione almeno tripolare, se non di più. E in Spagna abbiamo visto che per fare un governo ci hanno messo più di un anno!

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      1. Non mi sono informata sulla riforma costituzionale proposta, però credo sia evidente che la rigidità imposta al nostro sistema governativo abbia fatto sì che legiferare sia diventato così arduo (e soprattutto così in ritardo rispetto alle esigenze dei cittadini e della nazione) che bisognava snellire o cmq trovare un modo di agevolare il processo. La rigidità è frutto di quanto deciso subito dopo la fine del fascismo, per cui in quel contesto storico era necessario adottare misure per evitare il ripetersi dell’ascesa di un dittatore. Ma al giorno d’oggi ciò ci impedisce di evolversi, abbiamo dei Codici così lunghi e complicati che è una matassa (o forse un garbuglio?!) inestricabile. Lo Stato Italiano ha troppe leggi, troppa burocrazia, troppe regole, troppe eccezioni… Apportare un cambio è diventato possibile. Secondo me, bisognava cambiare il metodo. Cosa pensi del fatto che la maggioranza dei voti all’estero era per il Sì? Hanno abbindolato degli ignoranti o sono gli italiani all’estero ad avere l’occhio lungo, a differenza dei concittadini in Patria?

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        1. mi sembra che tu sia invece sufficientemente informata!
          Il problema per me centrale era il superalismo del bicameralismo perfetto. Nei fatti questo è giá stato superato illecitamente, con l’utilizzo spropositato della decretazione d’urgenza, che sopperisce al classico disegno di legge parlamentare, che, richiedendo la doppia approvazione delle camere e un rimbalzo ogni qualvolta ci siano modifiche, subisce percorsi parlamentari eterni. Dunque con la decretazione, il potere legislativo si è parzialmente spostato verso quello esecutivo, depotenziando de facto il Parlamento. In un certo senso la Riforma confermava questo aspetto, mantenendo comunque il Parlamento come terminale della legislazione, visto come (corretto) contraltare del Governo (in Parlamento ci sono anche le opposizioni rappresentate, nel governo no).
          Io credo si sia persa una buona occasione per cambiare qualcosa. La riforma non era perfetta, ma era un primo passo. Renzi da una parte, le opposizioni dall’altra ( tra cui una parte del PD) hanno gettato alle ortiche tutto.

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  2. Ciao Stefano, come avevamo previsto entrambi, pur stando sulle due sponde opposte, il parapiglia che vedremo a breve in qiesti giorni avrà avuto una sola causa, Renzi. Il suo voler assoggettarci come “re al comando” ha portato allo sfascio; il suo andare dritto ad ogni costo e senza umiltà ha trasformato il voto referendario in un voto di legittimazione del Governo. Questa volta però gli elettori non sono stati al gioco e la debacle è arrivata con sconforto per lo stesso Presidente che si è ritrovato spiaccicata in faccia la realtà. Come ci siamo detti da me nei giorni scorsi, c’era qualcosa di buono su cui poter partire ed avviare una parvenza di cambiamento, ma la gestione da One Man Show ha precipitato gli eventi. Ora non so cosa ci aspetterà (ma di certo non mancheranno altre sceneggiate e dejà-vu), ma apprezzo questa volta la coerenza di Renzi che di fronte ai cittadini non ha nascosto nè la sua amarezza nè ha tradito la sua promessa di dimissioni. Cosa che negli ultimi anni ha perso di credibilità.
    Incrociamo le dita e ripartiamo!

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    1. Ciao Lois, hai colto bene il senso del mio post, al di là delle posizioni che possono essere antitetiche. C’è stato un evidente problema di personalizzazione del voto: invece di cercare la massima condivisione possibile, Renzi ha focalizzato l’attenzione solo su se stesso, perdendo di vista il vero obiettivo, che sarebbe stato, tra gli altri, l’eliminazione del bicameralismo perfetto (che ora ci teniamo).
      Non so bene che cosa succederà nei prossimi giorni. Certamente occorre approvare la legge di bilancio e, come al solito, l’Europa già comincia a minacciare la necessità di manovre aggiuntive, con lo scopo di aumentare la pressione politica (qualora ce ne fosse ancora bisogno).
      Restiamo in attesa e, come dici tu, incrociamo le dita!

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  3. Ciao Stefano concordo con la tua interessante analisi che stimola in me la voglia di esprimere la mia delusione per l’esito del referendum, ancorché fossi preparato da tempo sull’esito finale. Ho votato SI turandomi il naso perché, pur condividendo i macro-obiettivi della riforma (eliminazione del bicameralismo paritario, centralizzazione di alcuni settori strategici dello stato, eliminazione di un ente inutile come il CNEL, ecc) mi ero reso conto che il prodotto finale era di pessima qualità. Si percepiva come, lottando contro il tempo e contro le resistenze degli stessi compagni di partito, alla fine i nuovi “padri costituenti” si fossero rassegnati a partorire il classico topolino. Un errore secondo me evidenziare il risparmio che si sarebbe ottenuto sostituendo l’attuale senato con uno formato da senatori già stipendiati; pensa come sarebbe stato più convincente introdurre una riduzione decisa dei componenti di entrambe le camere (ad esempio dagli attuali 1000 a 500) trasformando il senato come proposto con la riforma, ma con componenti eletti dai cittadini.
    I contenuti della riforma hanno così prestato il fianco agli attacchi mediatici condotti da populisti, opportunisti ed invidiosi. Attacchi al limite della decenza che il più delle volte non entravano nemmeno nel merito della riforma.
    La ciliegina è stata l’Italicum, che faceva presagire l’intento di conquistare il potere con una manciata di voti.
    Credo, come tu evidenzi, che l’errore sia da attribuirsi al solo Renzi che, anche se leader come pochi nel panorama politico di questi anni, ha pagato caro proprio il suo egocentrismo, oscurando i risultati ottenuti in questi 1000 giorni di governo.
    Grazie per avere dato spazio alle mie considerazioni. Alberto

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    1. Ciao Alberto, grazie molte per il tuo contributo.
      In questi giorni si leggono molti commenti, più o meno appropriati, sui social e sui blog. Ciò che tuttavia emerge in maniera chiara è che il voto è stato espressamente contro Renzi. Non si entra quasi mai nel merito della riforma, che, benché fosse obiettivamente parecchio lacunosa, rappresentava comunque un passo avanti verso la modernità.
      Di mezzo, ci metto anche il povero Napolitano, che si è addirittura concesso la comparsata da Vespa. Credo che un presidente emerito all’età di 92 anni debba pensare ad altro.
      Questo governo può aver fatto cose buone e meno buone. Molto dipende dalle proprie convinzioni politiche. Tuttavia emerge forse una certa lontananza dalla gente. E questo, alla lunga, si paga.
      Grazie ancora per le tue considerazioni.

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  4. Ciao Stefano
    Le considerazioni che a freddo oramai si possono fare su Renzi nel post referendum sono svariate e tendono a convergere nell’eccessiva sovraesposizione dell’ex premier il quale ha ingigantito giorno dopo giorno, per mille giorni, il suo ego già abbastanza ingombrante, distaccandosi, come succede in questi casi, dalla realtà.

    Il punto di vista manageriale (con tua conseguente analisi critica), è importante, e può essere di aiuto non solo a Renzi (che ovviamente non leggerà, non perchè tu sia distante da lui, ma perchè abbiamo visto tutti che già nei giorni a seguire ha perseguito la strada del “Io basto a me stesso”) , quanto a tutti coloro, noi compresi, che non solo nei posti di potere, ma anche nel mondo del lavoro, hanno a che fare o fanno i manager/direttori/responsabili. Condivido in pieno pertanto il discorso su “dialettica”, “confronto” evitando gli yesman, yeswoman, e auguro a tutti di non finire a imbattersi in posti dove esistono queste figure, perchè la debacle è sempre dietro l’angolo.

    Andando invece più a fondo nel discorso politico. A Renzi riconosco il fatto che abbia fatto un passo indietro dopo la sconfitta. La cosa non era tecnicamente necessaria, però avendo personalizzato il referendum (che poteva evitare), era dovuta. Medesimo errore di D’Alema nelle elezioni regionali del 2000. In generale però le cose per il governo dell’Italia prendono la piega solita, della strada che si percorre dagli anni 60 purtroppo, e che al di là di 1^ e 2^ Repubblica non cambia. Su questo aspetto, o effettivamente si decide di trovare una soluzione a questo alternarsi compulsivo di governi, o la vedo dura affrontare un mondo molto più complesso di quello “bipolare” di 50, 40, 30 anni fa. Abbiamo imparato oramai come l’instabilità politica e di governi (assortiti con il nastro adesivo) ci abbia portato al collasso con un debito pubblico gigantesco per tenere contento questo e quel partito/fazione/gruppo politico, e tra l’altro, ora in un periodo in cui l’economia privata non cresce, ci siamo giocati la leva della spesa pubblica (perchè ce la siamo già giocata con anticipo e con gli interessi, quando l’economia andava bene). Una riforma dell’ordinamento statale, a favore di una maggiore stabilità di governo e di un riequilibrio dei poteri centrali/locali, va fatta, serenamente, magari con una assemblea costituente (abbiamo visto che le commissioni ristrette e le riforme a botta di maggioranza siano fallite tutte in maniera miserrima) e rendendola ampiamente condivisa.

    A volte penso che dedicarsi alla politica oggi sia un’impresa difficilissima e richieda persone con notevoli doti umane, manageriali, culturali e tecniche, molto più spiccate che diversi decenni fa.

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    1. Ciao Pietro, grazie per le tue considerazioni.
      Hai usato una metafora corretta, quella dei governi assortiti con il nastro adesivo. Credo che il male di questo paese, a livello politico, sia sempre stato la possibilità di creare dei governicchi mettendo assieme gente con idee politiche a volte all’opposto. Non essendoci poi un’armonizzazione della legge elettorale per le due camere (anche perchè è assurdo avere due camere che vengono votate con due leggi elettorali diverse), ci ritroviamo con una camera che ha la maggioranza, l’altra no. Eppure, entrambe le camere hanno la stessa, identica funzione.
      Dunque, c’è necessità di riformare l’impianto costituzionale, con l’abolizione o riduzione dei poteri di una camera e una legge elettorale che consenta la governabilità.
      Non sono molto propenso alle assemblee costituenti, in quanto la storia insegna che alla fine non portano da nessuna parte. A meno che questa costituente non venga gestita dal Presidente della Repubblica e con dei chiari obiettivi temporali. Nello stesso tempo, non si può certo pensare di riformare l’impianto di un Paese a colpi di maggioranza, su questo sono d’accordo.
      A presto!

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