L’industria 4.0 nell’era della globalizzazione #1

Urbanizzazione, Campagne, Industria 4.0
Di Unbekannter Künstler / Unknown Artist; Scan von / Scan by Devilsanddust – Album der Album der sächsischen Industrie : oder: Sachsens grösste und ausgezeichnetste Fabriken, Manufakturen, Maschinen- und andere wichtige gewerbliche Etablissements in vorzüglichen naturgetreuen Abbildungen mit statistisch-topographischem, historischem und gewerblichem Texte / hrsg. von Louis Oeser Neusalza : Oeser [1856]., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1458545

[Prima puntata di un’analisi sul concetto di Industria 4.0 e sul futuro della macroeconomia mondiale, in un contesto che nell’arco di quindici anni si è profondamente modificato sotto i colpi della Grande Crisi e di un’evoluzione tecnologica che sta stravolgendo anche la nostra quotidianità.]

Qualche settimana fa, a margine del post Abbiamo davvero bisogno dei cinesi, è nata una interessante discussione con Tratto d’unione. Riporto integralmente uno dei commenti:

In pausa pranzo leggevo Repubblica.it e ho trovato questa notizia: un uomo cinese di 36 anni ha ucciso tre funzionari dello stato incaricati di abbattere l’intero villaggio rurale dove viveva. Riporto testuale dall’articolo: “Autorità e propaganda di Stato lo definiscono assassino e lo condannano pubblicamente per un crimine imperdonabile. La gente a sorpresa lo acclama invece come eroe, offre denaro alla famiglia, intasa il web di messaggi di sostegno e trasforma il funerale in una rivolta di massa contro l’urbanizzazione ordinata da Pechino. Per il governo cinese è un’insurrezione inattesa, difficile da reprimere anche dalla censura: e il partito-Stato, alle prese con la prima crisi economica da oltre trent’anni, ora teme uno stop al trasferimento di altri 200 milioni di cinesi dalle campagne verso le città, indispensabile per accelerare la crescita dei consumi interni.” E’ l’ultima frase a farmi spavento.

Ricordo alcuni episodi, durante la nostra permanenza in Cina, che erano l’espressione della resistenza al cambiamento imposto dal Governo. Nei nostri trasferimenti casa-lavoro, capitava infatti di vedere militari in assetto anti-sommossa, talvolta per sedare manifestazioni che nascevano in occasione di scioperi, talvolta per contrastare rivolte in sobborghi che il governo della città aveva deciso di radere al suolo. Ciò che era vecchio o espressione di povertà veniva normalmente confinato all’interno di alti muri che non consentissero la vista ai passanti, salvo, prima o poi, abbattere tutto per costruire qualcosa che indirizzasse alla modernità.

I sobborghi di cui prima erano infatti gli ultimi residui dei vecchi villaggi, intorno a cui sono cresciuti nel tempo grattacieli, fabbriche e strade, manifestazione di un’urbanizzazione che è cominciata sulla costa, a ridosso dei porti, snodi cruciali per le esportazioni in tutto il mondo. La popolazione di Suzhou era per un 20% locale e per il restante 80% era costituita da cinesi emigrati da varie parti della Cina: chi dal Sud, chi dalle zone della Mongolia, chi dalla Cina continentale e centrale. Ricordo ancora in occasione del capodanno cinese le code chilometriche di persone alle stazioni dei bus, dove si acquistavano i biglietti per il viaggio verso le proprie regioni di origine: in certi casi, i trasferimenti potevano durare anche 4-5 giorni e infatti alcuni dipendenti richiedevano dalle tre alle quattro settimane di ferie, perdendone due nel viaggio. Spesso il capodanno cinese era l’unica occasione dell’anno per rivedere la propria famiglia e addirittura i propri figli: uomini e donne lasciavano i propri villaggi per poter trovare un lavoro che consentisse loro di accumulare denaro per alcuni anni, potersi poi ricongiungere con la famiglia una volta che il costo della vita in città fosse sostenibile.

Non a caso, in tutte le aziende uno dei parametri gestionali più complessi era l’employee turnover rate (ETR), cioè il tasso di sostituzione del personale. Avere un ETR nell’intorno del 10-15% annuo era un risultato eccellente, frutto di una politica salariale attrattiva e inclusiva (non solo lo stipendio, ma anche benefits quali il contributo casa, gli assegni familiari, i contributi pensionistici), di un ambiente sano e confortevole (importante era per esempio avere una mensa con cibo buono e il condizionamento funzionante durante l’estate) e di tanto, tanto lavoro: appena si cominciava a subodorare un calo del carico di lavoro, fioccavano le dimissioni. Alcuni colleghi manager si trovavano a gestire tassi di turnover anche del 50-60% annuo, con un evidente contraccolpo a livello di continuità produttiva e di qualità.

Non mi stupisce dunque la mole di cinesi – più di 200 milioni – in esodo (non proprio volontario) verso le città, in particolare quelle definite di terza fascia, cioè città ancora relativamente poco abitate (sotto i due-tre milioni di abitanti) e con un’economia industriale ancora da sviluppare. L’urbanizzazione si sta infatti allargando anche alla Cina interna, quella continentale, lontana dalla costa, avendo investito tantissimo nelle infrastrutture, dagli aeroporti al trasporto su rotaia.

Tuttavia, questo genere di industrializzazione e urbanizzazione ha ancora senso nell’era dell’Industria 4.0?

(continua)


9 risposte a "L’industria 4.0 nell’era della globalizzazione #1"

  1. Grazie Stefano, interessante questa rubrica, la tua testimonianza diretta sulla Cina è molto utile per chi, come me, non la conosce ma la osserva da un po’ con curiosità e preoccupazione.
    Forse ti potrà interessare il reportage fotografico che Paolo Woods ha realizzato nel 2007 sul “far west” cinese, vale a dire l’Africa: Chinafrica

    http://www.paolowoods.net/immagini.php?leng=1&idlm=895&pag=0&id=#description

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    1. Grazie a te per il contributo, veramente interessante. Ritengo molto vera una didascalia dove si dice che i cinesi non sembrano i vecchi colonizzatori ed è vero. Stanno semplicemente (si fa per dire) distribuendo la loro ricchezza altrove, costruendo strade, case, hotel, industrie. Danno da lavorare, è vero, ma con lo standard cinese, soprattutto a livello di retribuzione.
      Nei prossimi decenni, saremo sempre più “cinesizzati”, perchè la sopravvivenza della economia europea, in particolare, dipenderà da loro.

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        1. Sono d’accordo. Credo che in questo senso l’industria 4.0 dovrebbe aiutare da quel punto di vista, ma dovremo probabilmente capire (e vedremo qualche numero nella prossima puntata) quanto questo impatterà sull’occupazione nel mondo occidentale.

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