L’erba del vicino (e del lontano)

Guardarsi allo specchio

Questione di punti di vista, come sempre. C’è chi, nel mondo, è affascinato da ciò che riguarda il Vecchio Continente, c’è chi dallo stesso (in particolare dall’Italia) cerca di starci ben lontano. 
Nella prima categoria ci rientra un ragazzo giapponese divenuto celebre qualche settimana fa per aver speso la bellezza di 150000 dollari in chirurgia plastico-facciale, con l’obiettivo di tentare di assomigliare al David di Michelangelo. Qui potete leggere l’articolo completo e potete apprezzare il risultato: il rapporto qualità/prezzo mi sembra, purtroppo per lui, decisamente basso. Anche in Cina negli ultimi anni c’è stato un boom di interventi, molti di questi volti al rimodellamento dei tipici tratti asiatici (gli occhi a mandorla) verso lineamenti più occidentali (qui un articolo). Sempre più spesso, infatti, amici che lavorano nella Terra di Mezzo raccontano in particolare di colleghe che si presentano in ufficio con i segni dell’operazione appena effettuata: non è un caso, del resto, che Shanghai stia diventando un centro di eccellenza a livello mondiale e che negli ultimi anni gli interventi di chirurgia estetica in Cina abbiano raggiunto cifre a sei zeri. Già durante la mia permanenza a Suzhou (quindi più di due anni fa), ero rimasto colpito dal proliferare di tabelloni pubblicitari raffiguranti modelli e modelle occidentali; questi ultimi, inoltre, erano ambitissimi per le inaugurazioni di importanti negozi nel centro delle grandi città, al punto che erano nate società cinesi di reclutamento di ragazzi/e provenienti da varie parti del mondo, ai quali veniva offerto un lauto compenso (oltre al viaggio pagato), valutando evidentemente un ottimo e veloce ritorno dell’investimento in termini di vendite.
Tornando al bistrattato Alan di inizio post, ci sono molti italiani che al contrario vorrebbero perdere i nostri tratti distintivi, non parlando ovviamente di quelli fisici. In un articolo sul Fatto Quotidiano (qui l’articolo completo), i dieci motivi che secondo Massimo Sibilio spingono la maggior parte dei nostri compatrioti a fuggire. Ritorniamo, in qualche modo, alla metafora de La grande bellezza, di cui abbiamo già discusso in uno dei miei ultimi post (qui): sarebbe così utile riuscire a scavare nell’immondizia che ci siamo creati in decenni di malcostume e malgoverno, per estrapolare tutta la ricchezza di cui siamo in possesso e farla diventare nuovo valore aggiunto. Dovremmo fare un corposo lifting ai nostri elementi caratteristici, provare ad assomigliare a popoli più civili ed intelligenti di noi (sottolineo intelligenti, non furbi, dote nella quale siamo campioni del mondo); dovremmo smettere di dire “ma noi siamo italiani, nessuno ci può cambiare”, come se questo fosse un pregio di cui vantarci. Siamo di fronte all’evidenza dei fatti che c’è chi è meglio di noi: la non accettazione di ciò ha storicamente portato alla decadenza di imperi fiorenti e rigogliosi e noi, sul fondo, ci stiamo nuotando da tempo.


2 risposte a "L’erba del vicino (e del lontano)"

  1. Sicuramente il fascino del ” diverso ” ha sempre fatto presa : vedi le svedesi e le tedesche che negli anni '60 scendevano in Italia e mettevano sottosopra le nostre riviere con la loro bellezza nordica. Qui però ci vedo anche la caparbietà con cui i cinesi si approcciano a tutto ciò che rappresenta il mondo occidentale che sia un progetto industriale piuttosto che un modus vivendi ….. o ( peggio ) un modello estetico.

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  2. io concordo su tutto, ma quanto realmente il “diverso” è apprezzato? la sensazione è che ci sia un diverso che piace e un diverso che viene disprezzato. vivere all'estero (l'ho detto spesso nei miei post) ti fa capire cosa vuol dire essere visti diversi.

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