Quanto siamo influencer?

Qualche settimana fa, ho acquistato una pizza tramite la app Just Eat, con consegna a domicilio. Prima di procedere con l’ordine, ho letto tutte le recensioni, per poter verificare i giudizi medi assegnati a quella pizzeria. Tutti sostenevano che la qualità della pizza era così buona da poter accettare anche i frequenti ritardi nella consegna. Ho così deciso di rischiare e di fidarmi. Ordine effettuato alle 20.15, consegna prevista ore 21.15, consegna effettiva ore 22. Come se non bastasse, la pizza era fredda e non buona. Nel mezzo, una telefonata di sollecito, durante la quale mi è stato detto che, guarda caso, la mia pizza era entrata in forno proprio in quel momento. Così è scattata la mia recensione negativa.

In linea generale, possiamo dire che un cliente è soddisfatto quando le aspettative combaciano con la percezione effettiva data dall’utilizzo di un prodotto o di un servizio. Nel caso di cui sopra, l’aspettativa sulla componente qualità era alta e avrebbe dovuto sopperire a un ritardo nella consegna, che consapevolmente avevo accettato e messo in preventivo. Se la pizza fosse stata buona, la mia aspettativa sarebbe stata appagata e la valutazione, pur non elevata per lo scarso servizio, avrebbe tenuto in considerazione la bontà del prodotto, consigliando di optare per l’asporto diretto e non per la consegna a domicilio. Se Maometto non va alla montagna…

Essere Social non è più un giochino da adolescenti. Essere Social non significa soltanto postare qualcosa su Facebook o Twitter. Per essere vincenti in un B2C (Business to Customer), soprattutto quando si ha il contatto diretto con l’utente finale, bisogna avere la capacità di sapersi confrontare con la viralità del moderno passaparola. Con lo sviluppo dell’e-commerce, la figura dell’intermediario (per esempio, il retailer o il negozio) è sempre più debole. Un giudizio si diffonde nel tempo di un clic e soprattutto viene immediatamente associato a un nome o un marchio, senza alcun filtro. Quante volte avete fatto acquisti online e avete optato per un negozio o per un fornitore che aveva molti feedback positivi, mentre avete scartato chi aveva pochi feedback o ne aveva di negativi? Quanti ristoranti o hotels avete scelto sulla base delle recensioni su Tripadvisor o piattaforme simili?

Business, Social Networks, recensioni, Economia dell'attenzione, feedback
Credits: http://www.ninjamarketing.it

Qualcuno la definisce l’economia dell’attenzione: il cliente va seguito anche e soprattutto dopo l’acquisto, perchè bisogna essere sicuri del suo grado di soddisfazione, richiedere e accettare feedbacks che possano consentire di migliorare. La fidelizzazione del cliente si ottiene quanto più egli avverte l’attenzione del fornitore: non a caso i grandi brand oggi investono moltissimo sull’after sales, dedicando per esempio persone a partecipare attivamente sui forum o sui Social in cui si discute o si giudica il prodotto o il servizio. Chi fa business deve avere un approccio Social, perchè è in rete che si trovano e si gestiscono i clienti. Una pagina Facebook o un account Twitter gestiti bene rappresentano una fonte di business notevole, perchè i clienti sono diventati influencers dal potere enorme. Avere recensioni positive attira altre persone che sono ancora indecise o che non conoscono quel prodotto o servizio, invogliando a provare.

Del resto, gli stessi Social stanno evolvendo: Facebook non è più il Social dove raccontare della torta bruciata o del gattino smarrito, ma si sta trasformando in una vera e propria piattaforma che consenta di fare business. Per chi usa Instagram, le immagini devono mostrare il valore aggiunto del prodotto. Anche Tripadvisor, ormai, permette di prenotare direttamente gli alberghi. L’obiettivo è prendere confidenza con il prodotto sul Social in questione, leggere una recensione e, se convinto, procedere direttamente all’acquisto.

L’evoluzione è già in corso: avrete notato che, nella vostra Timeline di Facebook, compaiono dei post sponsorizzati con l’indicazione “Al tuo amico Paolo piace il prodotto XYZ”. Sulla base delle nostre interazioni, dei nostri Like, della tipologia di post che leggiamo, l’algoritmo è in grado di proporre all’utente advertising mirati, con la possibilità di entrare poi nel sito del prodotto o del servizio e procedere all’acquisto. I famosi cookies, di cui leggete ogni volta che entrate in un sito web, sono quelli che consentono di conoscere i vostri gusti, le vostre tendenze, i vostri desideri. Quindi essere Social è diventata una necessità, non più una possibilità.

Quanto vi considerate influencer? Quante volte vi è capitato di fare recensioni o di effettuare scelte sulla base di giudizi di altre persone? D’altro canto, se avete un business, quanto vi ritrovate in questo discorso?

 

 


37 risposte a "Quanto siamo influencer?"

  1. Ho aperto una pagina FB parallela al mio blog; ho pochi seguaci e piuttosto silenziosi.

    Seguo a mia volta altre pagine con numerosi follower: sembra che i commenti e i likes si moltiplichino.

    Obiettivamente i miei post non sono di qualità inferiore ma chissà perché vengono condivisi solo quando sono di ottima qualità.

    Alcune volte ho occasione di pubblicare miei post su pagine con grande visibilità, e ottengo forte riscontro.

    Tutto questo per esporre la mia teoria secondo cui se hai ‘un nome’ puoi scrivere qualunque quisquilia e verrà rimbalzata sull’intero web (virale?).

    Se sei signor nessuno puoi scrivere anche i promessi sposi e restano lì.

    Una sorta di certificazione dell’autore: una volta che ce l’hai sei decollato…

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    1. Ciao Elena, condivido molto quello che dici, verissimo. Ci sono poi molti esperti di SEO che potrebbero spiegare come ottenere più contatti, più visibilità. Però alla fine non sempre un post virale comporta che si riesca a ottenere un numero fisso di lettori. A me, ad esempio, è capitato di ottenere per un post oltre 1000 visite in un giorno, ma quegli stessi lettori erano capitati lì soltanto perché quel post era stato pubblicato in Facebook da una persona che aveva migliaia di followers.
      Non è facile diventare virali.
      Tuttavia i contenuti di qualità sono fondamentali, a mio avviso.
      Grazie per il contributo.

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        1. No no, tutt’altro. Avevo letto un bel post, tempo fa, dove si spiegava che a volte la viralitá è quasi “fortuita”. Basta azzeccare una foto, un tag, una parola chiave e improvvisamente tutti ti leggono.
          Se bazzichi su Twitter, ti basti vedere come un hashtag di tendenza possa portare un tuo tweet in alto, in un attimo!

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            1. In generale, credo che i Social Network non siano facili da gestire per aumentare il traffico sul blog. Prima di tutto occorre identificare bene la nicchia di lettori a cui ci si rivolge, così da ottenere traffico e di conseguenza condivisioni.
              In effetti, l’obiettivo del mio rebranding si rivolge proprio a focalizzarmi su una fascia di lettori che possano essere interessati agli argomenti che ho specificato nel primo post della “nuova stagione”. Della serie: chi è interessato a questi temi continui a leggermi, diversamente è meglio che cerchi altri lidi.
              La chiarezza con il lettore è fondamentale. Una volta che lo si è fidelizzato (per tornare sull’argomento del post), condividerà automaticamente ciò che scriviamo.

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                1. Per un blog “personale”, la varietà non aiuta, dal mio punto di vista. Anche il mio è stato per molto tempo così, ma ho visto che difficilmente si riesce a costruire uno zoccolo di lettori, perché non si riesce a identificare nel blog.
                  La domanda da porsi è: di cosa parla il mio blog?

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                    1. Credo che sia fondamentale. Io stesso ho fatto autocritica e mi rendevo conto che parlavo di tutto e di più, senza un filo logico. Soltanto la rubrica Si viene e si va, che è durata due anni, aveva un filo conduttore, che era l’espatrio.
                      Oggi ho deciso di identificarmi diversamente e, anche se all’inizio non farò il botto di lettori, però sono soddisfatto della strada presa.
                      Il consiglio è quello di leggere molti blog (puoi partire da chi ha ha commentato, Lisa, Giulia, CesKoz hanno i propri blog). Così ti fai un’idea.

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  2. Secondo me chiederci se siamo influencer o meno ha senso solo se il nostro sito web (o pagina social) sia quello con cui vogliamo guadagnarci da vivere.
    Ti dirò, mi sta anche un po’ antipatica questa parola che ormai si usa come il pane a colazione; basta poco ad auto-definirsi influencer, così come basta poco a definirsi “la migliore pizzeria della zona”…
    Però è vero che crearsi un seguito è difficile.
    A livello tecnico, lo è tanto. Perché la concorrenza in ambito digitale è sempre più spietata, e ormai chiunque, dal blogger di quartiere alla multinazionale, ha pagine FB, Twitter, Instagram e via cantando. La comunicazione si è livellata su questi strumenti, il che è anche quello che fa di Internet un posto secondo me meraviglioso, dove tutti hanno veramente l’opportunità di dire la loro [e sappiamo a volte come questo possa poi sfociare nell’estremo].
    Comunque questo sovra-popolamento digitale, fa si che “essere letti” sia molto difficile.

    Per fare un esempio piccolo ma significativo: un blog ospitato su WordPress.com poggia su una piattaforma molto efficiente di condivisione dei contenuti, che fa si che il tuo blog venga consigliato, o appaia nello stream del Lettore WordPress di tante persone. Questo permette di crearsi relativamente in fretta una buona cerchia di lettori e di allargarla con il tempo. Dall’altra parte però, WordPress.com, per via della sua gratuità e della rigidità nella formattazione dei conteunuti, rende più difficile far conoscere il proprio blog all’esterno (fuori dalla piattaforma) e il SEO – che serve per farsi trovare da Google e da potenziali lettori – ne viene fuori un po’ ammaccato.
    Quando invece si passa al WordPress.org, pagando un servizio di hosting e uscendo dalla sicurezza del WordPress.com, le cose si fanno un po’ più difficili, perché si è veramente in mezzo alla mischia e l’attrazione di nuovi lettori è molto dura, se non sostenuta da un’efficace strategia di SEO.

    Quindi è vero che i contenuti sono importanti, e devono essere coerenti, curati, e freschi.
    Ma è vero anche che c’è tutta una questione strutturale (piattaforme scelte per pubblicare i propri contenuti, hosting, strategia di SEO) che porta a una specie di selezione naturale di quello che Google (il nostro grandefratello) dà in pasto agli utenti.
    E purtroppo, triste dirlo, ma la maggior parte delle volte quello che trasforma una persona da blogger con un buon seguito a “trend-setter” è l’investimento economico che c’è dietro il suo progetto digitale.

    Ho scritto un papiro, scusa, spero di non essere andata troppo off-topic! Ma l’argomento mi sta abbastanza a cuore, ecco, più che altro perché mi piace molto studiacchiare il tema e applicare sul mio blog quello che imparo ^^

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    1. Molto interessante, Giulia, grazie! Non entro del merito dell’aspetto tecnico, in quanto non ho le competenze per addentrarmi, ma io mi rendo conto di quanto sia difficile essere indicizzati e “diventare famosi” (lo dico in maniera simpatica).
      Tornando sull’aspetto influencer: hai ragione, è un termine di cui si abusa molto. A livello concettuale, però, ritengo che ognuno di noi, grazie a Internet (che, concordo, è un posto meraviglioso, perchè offre delle potenzioalità enormi) possa davvero indirizzare la scelta di altre persone. Nel bene e nel male, purtroppo, perchè se una banda di Troll si mette a distruggere un brand o un negozio o qualsiasi altra cosa, diventa difficile riuscire a gestire la situazione.
      Molto mi chiedono perchè faccio le recensioni su Tripadvisor o anche su Just Eat. Perchè ritengo che sia giusto dare un giudizio. Nel bene e nel male. è una parte aggiuntiva del servizio di cui ho usufruito e vedo che spesso le recensioni vengono apprezzate, perchè cerco di fornire informazioni utili. In questo senso, quanto più si è Social (ristoranti, alberghi, negozi…), tanto più si riesce a coinvolgere i clienti nel proprio business.
      In questo senso si “influenza”, perchè si è parte attiva del business.
      Scusa per il mio altrettanto papiro!

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      1. Anche a me comunque piace molto lasciare delle recensioni di qualità, sempre nell’ottica della condivisione che rende internet un bel posto in cui muoversi. E sì, in questo senso ognuno di noi ha la possibilità di influenzare le scelte altrui, soprattutto perché le nostre opinioni sono condivise con gruppi enormi di persone come noi. E sono d’accordo nella democrazia che sta dietro a delle *sincere* recensioni. Per quello per esempio uso tanto Twitter quando ho bisogno di una risposta veloce a un dubbio o un problema con la mia banca o altri esercizi commerciali: tutti vogliono salvare la loro reputazione online, e allora tanto vale, come dici tu, essere parte attiva del business 🙂

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        1. Grazie Giulia, hai colto perfettamente il senso del mio post. Anche io uso Twitter, per esempio, con gli operatori telefonici. Hanno tutto l’interesse di dimostrare che servono bene i clienti. E devo dire che almeno apprezzo l’impegno!

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  3. Non punto alla medaglia da influencer e non scrivo quasi mai recensioni ma mi capita di leggere le recensioni degli altri o almeno di guardare quante “stelle” ha un prodotto, nonostante io sappia che molti di questi feedback non sono reali ma pagati dalle compagnie. Mi è stato offerto di lavorare come influencer e guadagnare per condividere sui social media prodotti e recensioni ma non credo alla montagna di soldi che i testimonial dicono di aver fatto con questa carriera. In ogni caso, preferisco la povertà all’aridità di un mestiere del genere.

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    1. Ciao Lisa, confesso che non sapevo della possibilità di farlo a pagamento! Come ho scritto nel commento a Giulia, io lo faccio più per un aspetto etico, per fornire informazioni (spero) utili.
      Farlo per mestiere, invece, mi sembra davvero da “poveretti”. Concordo con te, mi accontento di quello che ho!

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    1. In parte ti do ragione. Una volta si sceglieva la bottega di fiducia e chi gestiva conosceva i propri clienti per nome. Il quartiere aveva più o meno tutto.
      Oggi l’online ha dilatato esponenzialmente i confini. Internet consente tutto. Un po’di nostalgia c’è, ma nello stesso tempo per natura adoro tutto ciò che è innovazione.
      Senza Youtube, non ci sarebbe Trrrrrip, la tua uéb serie!

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      1. Maledetto, tocchi l’emotività. Che poi a proposito de viralità con quella so’ arrivato a tipo 100 visualizzazioni. Manco la comunione de mi’ nipote. Ma l’importante è crederci, perseverare e trovare un cazzo di sponsor.

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  4. Ciao Stefano

    Con il tuo post, ma anche con la discussione aperta dai tuoi follower, tocchi vari argomenti.

    Quanto un “influencer” possa modificare attraverso i social, un “servizio”? Effettivamente, a livello teorico molto. Personalmente uso con costanza strumenti come Tripadvisor, e IBS, per la scelta di un ristorante/hotel, e per l’acquisto di un libro. Questo è dovuto alla stanchezza, soprattutto in Italia, di trovarmi in un ristorante, anche di un certo livello, e di venire trattato con maleducazione dai proprietari e/o da chi effettua servizio. Ho notato però, per esperienza personale, che ci sono anche molte “false” recensioni, specie su tripadvisor. Però dai, vedo il lato positivo. Il 75% delle volte, i commenti sono veritieri. Molto più interessante farsi un’idea su un libro, andando su IBS. Trovo sia un sito meno affetto da “troller”, e devo dire che per quel che mi riguarda, lascio volentieri mie opinioni, che spero possano aiutare anche altri utenti (purtroppo i libri in Italia sono cari, la qualità delle edizioni, specie delle grandi case editrici, è veramente pessima, e oramai si pubblica di tutto…. buttare i propri soldi a me dà fastidio, specie in questo caso).

    Non c’è che dire, è stata una rivoluzione.

    La discussione ha fatto nascere un interessante dibattito. Quanto le recensioni sono sincere? Purtroppo leggo e apprendo qui, come molte volte esse non lo siano. Onestamente ignoravo alcune cose che sono state scritte (sono veramente un ignorante sull’argomento).

    Per quanto riguarda la visibilità dei blog. Il mio, finchè è stato sulla piattaforma blogspot, dopo alcuni anni di post abbastanza continui, e nonostante fosse “confusionario”, (e purtroppo continua ad esserlo anche oggi) aveva i suoi bravi 30 visitatori giornalieri. Poco, ma qualcosa. Dopo che sono passato su wordpress, le statistiche sono scese miserevolmente (si aggiunge il fatto che sono stato fermo per quasi 3 anni). Però a naso, da ignorante, credo, che finchè il blog fosse sulla piattaforma precedente, veniva indicizzato molto di più da google. Però è una mia impressione. Magari tu o qualcuno dei tuoi follower potrà rispondermi meglio su queste cose tecniche.

    Grazie come al solito!

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    1. Concordo con te, più volte è stato segnalato, in particolare su Tripadvisor, la presenza di finte recensioni. Purtroppo non so se realmente ci sia un modo per evitare, però quando vedo che quanto meno c’è una foto e un nome, ritengo (magari a torto) che la recensione sia vera. Devo dire che non mi è quasi mai capitato di prendere una “sola” dopo aver letto le recensioni su Tripadvisor.
      Su IBS non compro mai, ma, comprando ogni tanto ebook, leggo le recensioni sullo Store dove acquisto oppure su Amazon. Tuttavia, sulle recensioni dei libri, c’è a mio avviso una componente di soggettività maggiore, per cui punto a fidarmi di più di eventuali critiche/recensioni di gente del settore.

      Sull’aspetto blog, mi fido di quello che dice Giulia, che è del settore. Sull’aspetto visualizzazioni di Blogspot (piattaforma, peraltro, dalla quale provengo anche io), c’è da dire che è abbastanza consolidato che molte visualizzazioni non fossero di lettori, ma di strumenti di analisi propri di Google. Ora, non so spiegare bene il tutto, ma anche a me è capitato di vedere un drastico crollo passando su WordPress.
      E allora l’unica è continuare a scrivere bene e crearsi una bella nicchia di lettori che partecipino!
      Grazie a te del commento!

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    1. Grazie per la citazione. Chi si approccia al web per lavoro (ma anche per diletto) deve capire che non è un gioco, che quello che pubblica avrà un impatto in positivo o in negativo.

      Un “fatto negativo” diventa virale più velocemente di un “fatto positivo” ed ha un impatto molto devastante, basti pensare al caso della British Petroleum. Come ho scritto anche nel post, citando Jonah Berger ,

      “La collera e l’ansia inducono le persone a condividere perché, come la meraviglia, sono emozioni intense, ad alto tasso di eccitamento; innescano la scintilla , scuotono e spingono all’azione. L’eccitamento è anche una delle ragioni per cui le cose divertenti vengono condivise.”

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      1. Grazie a te, Andrea. Il tuo post è sicuramente in linea con ciò che ho scritto giorni fa e conferma proprio che in rete nulla passa inosservato. Io l’ho chiamata la viralità del passaparola, che, come dici tu, può avere un impatto devastante (nel bene e nel male).
        A presto!

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  5. Ritorno per offrire un altro pezzettino di informazione a questa interessante discussione.

    Un mio amico francese mi ha chiamato per offrirmi un lavoro online che mi permetterebbe di viaggiare ovunque mantenendomi con 3 ore di lavoro alla settimana e arricchirmi in pochi anni. Già lì avrei messo giù il telefono (beh, skype non dà la soddisfazione di sbattere giù la cornetta, ma il concetto rimane).
    Il lavoro è per una compagnia francese con dipendenti in tutto il mondo. Con un investimento iniziale di circa 1000 Euro posso “comprare” il mio posto di lavoro e per tre ore alla settimana devo andare sulle pagine internet segnalatemi e mettere “like” e condividerle. Non devo comprare, non devo vendere, devo solo mettere “like” e alzare il ranking della pagina con la mia presenza (con nome e foto, Stefano, perché come dici tu, chi mai metterebbe nome e foto fasulle online? :D)
    Ogni mese la percentuale che prendo aumenta di due percentili, quindi se anche all’inizio prendo poco, e qui aiutatemi che la matematica non è il mio forte, dopo due anni avrò uno stipendio che mi permetterà di non lavorare più e dopo cinque anni… sarò ricca. Se poi troverò altre persone che vogliano investire nella compagnia “comprando” il loro posto di lavoro (come sperava di fare il mio amico francese con me) prenderò una percentuale ulteriore.

    Il trucco sta nella zona grigia in cui si muovono queste compagnie. Sono legali, ma a malapena, per cui ogni anno o due vengono spedite in tribunale e costrette a chiudere i battenti, cosa che a loro fa solo piacere perché andando in bancarotta non devono più pagare gli stipendi, che cominciano a essere alti, e possono cambiare nome e ricominciare daccapo in pochissimo tempo, pagando noccioline in cambio di investimenti di 1000 euro a persona (oltre a essere pagati dalle compagnie a caccia di “like”).

    Di nuovo mi scuso per la spiegazione, vorrei avere dettagli più chiari e specifici su leggi e numeri ma questo è il meglio che son riuscita a fare. Ho comunque pensato che potesse interessare e aprire un po’ gli occhi su quanto siamo influenzati online e da chi.

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    1. Wow Lisa, che roba schifosa!
      Hai ragione, in rete riuscire a essere sicuri della autenticità è impossibile.
      Certo è che in questo caso stiamo parlando non più di business, ma di truffe belle e buone. E allora, come si fa?

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  6. Caro Stefano,

    il racconto della tua esperienza dovrebbe essere letto da tutti i commercianti e gli imprenditori italiani.

    Due sono i motivi per farlo:

    – fa capire l’importanza di un servizio che corrisponda alle aspettative create sui Social.

    – la potenza e la viralità dei feedback che vengono immessi in Rete.

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