Abbiamo davvero bisogno dei cinesi?

Milan, Cina, Jack Ma, Calcio

Un aspetto che mi ha sempre colpito positivamente del popolo cinese è la forza di volontà nel raggiungere un obiettivo prefissato. Certamente non sono animati dallo spirito giapponese, che punta sull’eccellenza, sulla qualità del risultato e sulla dignità nel raggiungerlo, il tutto affiancato ad un’inventiva che per molti anni ha reso il Giappone la terra delle novità tecnologiche (basti pensare ai primi prototipi di androidi). I cinesi seguono una strategia completamente diversa: investono nel know how che appartiene ad altri, lo fanno proprio (spesso copiando) e poi ne ingigantiscono il valore a livello esponenziale. Basti vedere nel settore della telefonia, nel quale hanno imparato a sviluppare prodotti di ottima qualità, venduti a prezzi più accessibili dei vari Apple e Samsung. La stessa strategia la applicano nello sport: quando ottennero l’organizzazione delle Olimpiadi a Pechino, dichiararono apertamente la loro volontà di vincere il medagliere, con l’obiettivo di riuscire a dominare nel maggior numero possibile di sport. Investirono miliardi di yuan nella formazione sportiva, che si basava su percorsi avviati già nelle scuole per arrivare a centri federali che dovevano sfornare atleti estremamente competitivi.

Negli ultimi anni, la stessa strategia la stanno applicando al calcio. Anche qui c’è un obiettivo dichiarato: riuscire a creare un movimento che faccia da volano all’organizzazione di un Mondiale, al quale la Cina dovrebbe partecipare e addirittura vincere. Ed ecco che il processo si è avviato, come da copione: l’acquisto di calciatori e allenatori dai migliori campionati del mondo, attirati da stipendi faraonici, per acquisire il know how sportivo e gestionale e far crescere la scuola calcistica cinese. A livello nazionale, i risultati ancora non si vedono, ma l’obiettivo è di lungo termine e se forse sarà difficile vedere una nazionale cinese campione del mondo, non è da escludere che riescano a ottenere un deciso miglioramento.

Oltre a ciò, la Cina sta investendo anche nei campionati stranieri. Acquisire quote societarie di blasonate squadre di calcio (è il caso per esempio dell’Atletico Madrid) ha il chiaro obiettivo di generare delle multinazionali sportive, creare visibilità agli investitori e garantire il flusso di know how verso la Cina. In questo contesto, si colloca il tentativo, da parte di una cordata cinese non meglio identificata, di acquisire il Milan. Uno dei club europei più vincenti negli ultimi decenni, che tuttavia sta attraversando da qualche anno una profonda crisi di risultati e soprattutto manageriale. E qui riprendo la domanda del titolo: abbiamo veramente bisogno dei cinesi?

Partiamo dal nostro campionato. Per il quinto anno consecutivo, ci ritroviamo a celebrare il trionfo della Juventus. Bisogna dare atto a questa società di aver compiuto un percorso di rinascita che ha dato e continua a dare risultati eclatanti. Un percorso che si è basato su una rifondazione totale, che ha unito l’elemento puramente sportivo al moderno concetto di show business, oramai consolidato in Europa ma ancora piuttosto sconosciuto in Italia.

Quali le parole chiave di questa mentalità innovativa?

  1. Investimenti e infrastrutture. Senza dubbio, non c’è innovazione gratuita, sia in termini economici sia in termini di tempo. Non da subito la dirigenza del dopo Calciopoli riuscì ad ottenere risultati. Dal 2007 al 2011 le uniche soddisfazioni furono un secondo e un terzo posto in campionato. Se da un punto di vista sportivo erano anni avari di soddisfazioni, tuttavia è in quel periodo che la società ha cominciato a posizionare le fondamenta di un futuro solido, in particolare con il progetto e la realizzazione del nuovo stadio, primo impianto in Italia di proprietà. E quella è stata la chiave di volta: un investimento di circa 160-170 milioni con l’obiettivo di realizzare un’infrastruttura non solo sportiva, ma che fosse fonte di business ulteriore. Oggi la Juventus ha un fatturato di oltre 300 milioni di euro, ancora lontana dalle grandi potenze come Real e Barcellona, ma comunque molto al di sopra di tutte le altre società italiane. Come in Inghilterra e in Spagna gli stadi “vivono” durante tutta la settimana, anche allo Juventus Stadium è possibile visitare il Museo della storia juventina e trascorrere del tempo libero. Entro il 2017, inoltre, nella zona attorno allo stadio, sorgeranno nuove strutture sportive di allenamento per la prima squadra e per le giovanili, un albergo, una scuola internazionale e un’area commerciale. Una vera cittadella di sport e business che collocherà la Juventus sempre più all’altezza delle rivali europee.
  2. Bagaglio umano. Non c’è innovazione senza la componente umana. Il 2006 passò alla storia juventina come l’annus horribilis: per la prima volta in Serie B, tra gli sberleffi di tutti i tifosi antijuventini, con una dignità da ricostruire. Il viaggio verso il ritorno in Serie A doveva ripartire con una valigia gonfia di carisma, per far sì che il Purgatorio durasse un solo anno. Così, la società ripartì da Del Piero, Camoranesi e Buffon, appena laureatisi campioni del mondo, insieme a Nedved: fonti naturali di esperienza, che accettarono di scendere di categoria e che rappresentarono i simboli di una cavalcata travolgente che riportò la Juve in serie A da assoluta dominatrice, nonostante la pesante penalizzazione accordata per il processo di Calciopoli. Al fianco dei campioni, debuttarono inoltre in prima squadra giovani emergenti del vivaio come Marchisio e Giovinco, che non a caso hanno rappresentato o rappresentano tuttora il presente e lo scheletro della squadra, attorno a cui possono ruotare gli altri elementi. Riuscire ad essere vincente dopo aver ceduto campioni come Pirlo o Tevez, significa aver raggiunto una maturità sportiva di alto livello.
  3. Struttura societaria: ruoli chiari e ben definiti, una struttura manageriale efficiente, che negli ultimi anni ha collezionato successi sportivi al fianco di una gestione finanziaria tornata in attivo.

Tre elementi che il Milan ha completamente dimenticato, crogiolandosi nella autoreferenzialità del marchio sportivo e del presidente. La farsa del nuovo stadio al Portello (che potrebbe anche causare una perdita di 36 milioni di euro, da versare come penale), due amministratori delegati in lotta fra loro, l’acquisto di giocatori scartati da altre squadre e dunque senza alcuna prospettiva, un valzer di allenatori che ha destabilizzato lo spogliatoio. Infine la mancanza di leader carismatici, attorno a cui costruire squadra e successi. Tutto ciò ha portato il Milan in un baratro che al momento pare senza uscita.

C’è da dire che le società di calcio italiane non hanno mai avuto una strategia. Proprio le vittorie del Milan, così come quelle dell’Inter del Triplete, sono sempre venute a fronte di grossi investimenti fatti in perdita, possibili fino a quando i Moratti e i Berlusconi potevano attingere ai tesori di famiglia per ripianare i debiti e soprattutto fino a quando il Fair Play finanziario ha giustamente stabilito regole semplici e efficaci. La Juventus ha però dimostrato che fare impresa in Italia è possibile, proprio costruendo una strategia chiara e solida di lungo termine. Dobbiamo rispolverare la nostra capacità imprenditoriale e innovativa: chissà che il vento dell’est ce le ricordi.


Per approfondimenti:

Perchè i cinesi investono nel calcio – tratto da Wired


22 risposte a "Abbiamo davvero bisogno dei cinesi?"

  1. Una puntualizzazione e un’aggiuntina. Puntualizzazione, tra i grandi campioni scesi in serie B con la maglia della Juve hai dimenticato Trezeguet, lo straniero che ha segnato di più con la maglia bianconera. Aggiuntina: l’altra sera seguivo un approfondimento su Sky e dicevano che la situazione dll’Inter (già in mano a Filippini o Cinesi insomma imprenditori dell’estremo oriente) è molto più grave di quella del Milan (non che le cose mi dispiacciano, anzi più sprofondano entrambe e più godo), però è per dire che non sono i soldoni degli speculatori esteri a fare grandi le squadre, ma la programmazione, la pazienza (leggasi il NON esonero di Allegri quest’anno quando praticamente tutti i tifosi e tutta la stampa invocavano il cambio di guida tecnica alla Juventus, poi sappiamo com’è finito il campionato) e l’attaccamento alla maglia, non è con i fatturati e i milioni che si vincono le partite, ma con l’abnegazione, la fame, la voglia di vincere!!!!

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    1. Ecco uno juventino orgoglioso! Traspare “leggermente” la tua juventinità.
      Hai ragione, la situazione dell’Inter è altrettanto critica, ma bisogna dare atto a Thohir di aver dato un’organizzazione e una linea guida ben diversa rispetto alla confusione totale che invece ha generato Berlusconi. Thohir sta seguendo un piano di ristrutturazione di un debito lasciato da un altro imprenditore poco lungimirante (il buon Moratti). Da un punto di vista manageriale, Thohir si è circondato di professionisti e ha definito degli obiettivi chiari, ambiziosi per certi versi ma nel contempo realistici.
      Sul discorso del non esonero, io sono dell’idea che un allenatore non dovrebbe essere (quasi) mai esonerato, ma chi è veramente tifoso (un po’come te) dopo tre partite perse parla già di cacciare l’allenatore!
      Grazie dell’intervento!

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  2. Ciao Stefano,

    hai fatto un’ottima analisi degli obiettivi dei cinesi, della situazione del Milan e del modello italiano da seguire se si vuole una via autoctona al rilancio delle squadre di Serie A al fine di rendere il campionato sempre più avvincente e competitivo.

    In questo post si vede tutta la tua “forma mentis” di manager di alto livello.

    Complimenti!

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    1. Ciao Federico, grazie, troppo buono!
      Purtroppo in Italia tutto si assomiglia: la politica, il mondo industriale, la scuola, tutto gestito con pressapochismo. Solo colpa nostra, però: non si può certo dare la colpa all’Euro, alla UE o alla Germania.
      La Germania, dopo le batoste prese nei primi anni 2000, ha costruito centinaia di centri federali per far ripartire il calcio. Meritatamente negli ultimi anni sono in vetta sia a livello di club, sia a livello di Nazionale. Noi ci stupiamo (e non capisco perchè) di record negativi, come la partita Inter-Udinese, nella quale non c’era UN italiano in campo. neanche uno. D’accordo la globalizzazione, ma così è francamente troppo.
      Per questo lode al Sassuolo, che sulla sua intera rosa ha solo 3 stranieri. E, guarda caso, ha superato il Milan in classifica. Senza bisogno dei cinesi.
      Grazie del contributo!

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  3. Ciao Stefano
    la tua provocazione sul modello cinese e sul modello italiano nel calcio è molto interessante, ovviamente, con tutti i riguardi del caso, dal calcio si può poi allargare ad altri settori. Grazie per avermi fatto capire il loro modo di “divorare” il know how altrui e “farlo proprio”.

    Andando al calcio. Credo che in Italia oltre alla Juve (lascio stare la squadra per cui tifo nel ragionamento), ci siano societá che abbiano sufficiente lungimiranza, ma purtroppo sono di medio-piccole dimensioni (Sassuolo in primis, ma anche l’Empoli, la Fiorentina, il Carpi che spero si salvi) che difficilmente potrebbero ambire a lottare per lo scudetto. Spero queste realtá possano crescere, magari attirando capitali stranieri, riuscendo ad amalgamare capacitá manageriali italiane e investimenti esteri. Il campionato ne guadagnerebbe in appeal e competitivitá. In parte ciò è avvenuto con la Roma (anche per causa di forza maggiore, dati i debiti pregressi accumulati con le banche), che credo nei prossimi anni possa ancora crescere, il management tecnico sicuramente fará tesoro della lezione: cambiare allenatore quando è il momento giusto e mai in corsa a frittata fatta (quest’anno il campionato della Roma di Spalletti è qualcosa di straordinario).

    La Juventus e il Napoli, seppur con “fatturati” diversi, cercano di abbinare risultati e oculatezza. Certo le spalle della Juventus sono meglio coperte, però è anche vero che le pressioni di una piazza più tranquilla e un management più strutturato (che il Napoli dovrebbe avere) hanno contribuito a programmare in Italia una lunga sfilza di vittorie, che potrá protrarsi ancora oltre.

    Purtroppo le grandi assenti, ossia le milanesi, restano delle grandi incognite per il futuro. Il Milan resta un rebus indecifrabile (i soldi stranieri, se stranieri saranno) da chi saranno gestiti? Gli investitori hanno una loro equipe tecnica, oppure la costruiranno attingendo in quale “serbatoio”? Dell’Inter ho pochi dati per scrivere.

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    1. Ciao Pietro, non è tanto una provocazione, la mia, quanto un dato di fatto anche piuttosto lampante. Non è un modo di fare impresa, quello cinese, che mi piace, ma tant’è.
      Io credo che in Italia siamo capaci di fare impresa, dobbiamo soltanto riprendere il coraggio e l’entusiasmo che ci ha permesso di riemergere anche in passato. Non so se ci riusciremo, ma quella è l’unica strada.

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    1. Non conosco così bene la cultura giapponese come quella cinese, ma da letture e da racconti di persone che ci hanno vissuto o ci vivono ancora, direi che è piuttosto affidabile! Grazie!

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  4. Grazie a te. Io non conosco la cultura cinese. Tuttavia nelle nostre città sempre più abbiamo a che fare con i cinesi. Cosa difficilissima perché la loro integrazione si ferma all’intraprendere attività economiche, molto raramente arriva al fare amicizia con le persone del luogo. Vivono e lavorano qui ma non parlano italiano, ascoltano solo la loro musica, non li vedi mai passeggiare per negozi…

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    1. La loro cultura è questa. Non a caso nelle metropoli più famose esiste sempre una China Town, perchè si autoghettizzano. Non danno un valore al tempo libero, perchè è tempo perso, non sfruttato per guadagnare denaro. Le nuove generazioni si sono evolute molto, ma soltanto perchè hanno avuto la fortuna (supportati da famiglie ricchissime) di avere studiato all’estero, conoscendo così nuove abitudini.
      Ricordo ancora con simpatia un nostro collega che si stupiva del fatto che cercassimo di organizzare qualcosa ogni weekend. Si chiedeva perchè volessimo andare a Shanghai, a Nanchino o in altre città. L’idea di conoscere, di scoprire nuove cose è spesso incomprensibile. Ci diceva: ma perchè devi andare a Shanghai? A Suzhou hai tutto quello che ti serve! Una mentalità molto materiale e del breve termine, dimenticando che c’è anche bisogno di curare lo spirito.

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    1. Credo si tratti solo di modelli di vita. Non è mia intenzione denigrarli, si tratta soltanto di considerazioni fatte sulla base di esperienze personali, sia in Cina, sia in Italia.
      Come detto proprio nel post, apprezzo molto il loro orientamento al raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, sono molto materialisti, non hanno il minimo interesse per ciò che non dà un ritorno economico (vedasi la cultura, la storia: è sensato abbattere tutto ciò che è storico, perchè è considerato vecchio???).

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        1. Sì, siamo molto diversi. Credo che da questo punto di vista gli italiani siano parecchio singolari e originali. Non a caso, la Dolce Vita è quasi un marchio italiano e ci viene riconosciuto in tutto il mondo. Avevo scritto in passato un paio di post a tal proposito, proprio evidenziando le differenze tra noi e gli stranieri. Poi, è ovvio che anche noi abbiamo la nostra bella dose di difetti!

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          1. Scusa, in pausa pranzo leggevo Repubblica.it e ho trovato questa notizia: un uomo cinese di 36 anni ha ucciso tre funzionari dello stato incaricati di abbattere l’intero villaggio rurale dove viveva. Riporto testuale dall’articolo: “Autorità e propaganda di Stato lo definiscono assassino e lo condannano pubblicamente per un crimine imperdonabile. La gente a sorpresa lo acclama invece come eroe, offre denaro alla famiglia, intasa il web di messaggi di sostegno e trasforma il funerale in una rivolta di massa contro l’urbanizzazione ordinata da Pechino. Per il governo cinese è un’insurrezione inattesa, difficile da reprimere anche dalla censura: e il partito-Stato, alle prese con la prima crisi economica da oltre trent’anni, ora teme uno stop al trasferimento di altri 200 milioni di cinesi dalle campagne verso le città, indispensabile per accelerare la crescita dei consumi interni.” E’ l’ultima frase a farmi spavento.

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            1. Le dinamiche di un Paese emergente (che ormai non è più tale, essendo la prima/seconda potenza economica mondiale) sono molto particolari, benchè sempre le stesse. Il passaggio dalle campagne alle città è il sintomo dell’evoluzione. I cinesi si spostano dalle zone rurali/sottosviluppate verso le città, dove le grandi aziende nascono come funghi e ricercano manodopera. A volte le grandi aziende cinese occupano 5000 o 6000 persone, sono delle piccole città.
              Le persone si spostano anche a distanze per noi considerate siderali: avevo colleghi che venivano da città nel nord della Cina, a distanza di 3000 km. Le rispettive famiglie spesso rimanevano nei luoghi di origine. Solo in occasione del capodanno cinese avviene il ricongiungimento. Immagina padri o madri di famiglia che vedono i loro figli piccoli una volta l’anno.
              Mi sta venendo in mente che a questo punto potrei fare un post dedicato, prendendo spunto da ciò che hai letto su Repubblica e facendo confluire la mia esperienza personale.

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  5. Anche da noi ci sono stati movimenti simili, abbandono delle campagne ecc… e ancora non sono finiti. Tuttavia c’è una differenza: “Lo Stato teme uno stop al trasferimento di altri 200 milioni di cinesi dalle campagne verso le città, indispensabile per accelerare la crescita dei consumi interni.” Non sono movimenti spontanei. In Cina: fiumi deviati con danni climatici planetari; città costruite nel nulla per far crescere il PIL e cittadini deportati in queste città fantasma… Continuo a non comprendere bene la cultura cinese.

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    1. Capisco bene il tuo punto di vista.
      Mi impegno a scrivere un post dove cerco di sviscerare in maniera un po’più completa alcuni aspetti emersi nei vari commenti.
      Grazie del tuo contributo!

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