Mi date un passaggio in Congo? – Si viene e si va (due) #1

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Dopo la puntata zero, nella quale vi ho presentato il filo conduttore della seconda stagione di Si viene e si va, eccoci alla prima intervista. Una ragazza che ha “la valigia sempre pronta, almeno nella testa”, ma “non mettetemi al volante, per l’amor di Dio”! Perché? Proseguite nella lettura e poi visitate il suo blog, scoprirete chi è Cristina.

Benvenuta Cristina, mi fa molto piacere che sia tu a battezzare la seconda stagione di Si viene e si va.

Grazie a te per avermi così gentilmente ospitata! Ti racconto un po’ di me: mi chiamo Cristina, ho 34 anni e sono originaria di un paesino del vercellese, uno di quelli poco lontani dalle risaie, dove in estate quasi non puoi mettere il naso fuori casa perchè i moscerini ti mangiano viva. Stanca di ricoprirmi di Autan, sono andata a vivere a Milano, per poi optare per Londra – dove sono rimasta tre anni e mezzo. Ora invece rispondo con piacere a questa intervista dal Congo Brazzaville (Africa), dove vivo da 14 mesi circa. E, per la cronaca, anche qui ci sono zanzare mica da ridere.

Insomma, sono una expat convinta: per fortuna adoro viaggiare! Ho una laurea in lingue (oltre all’italiano ne parlo altre tre) e un master in PR & marketing; due diplomi che, nella vita, mi hanno sempre garantito la mia brava scrivania nell’ufficio di qualche agenzia di comunicazione, dalla quale (in)seguire clienti internazionali. Almeno fino al mio trasferimento in Africa.

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Cristina

Partiamo proprio da qui: perché sei in Congo?

È stato il lavoro di mio marito a portarmici: inizialmente si era affacciata la prospettiva della Cina, terra che non vedevo l’ora di scoprire (anche dal punto di vista linguistico, naturalmente: mi ero già sommersa di manuali e cd). Purtroppo, però, Pechino è rimasto un miraggio e così siamo finiti qui, in questo staterello quasi sconosciuto nel cuore dell’Africa. Sono partita con scarso (leggi: zero) entusiasmo, in quanto sapevo che sarebbe stato un salto nel vuoto: da Milano/Londra all’Africa nera… è un bello shock, no? Perché il Congo non è l’Africa dei safari, sia ben chiaro: poche cose da fare e da vedere e collegamenti aerei scarsissimi. Tuttavia, a un anno dal mio arrivo, ho fatto diverse esperienze che mi hanno permesso di capire che anche questo è stato un anno degno di essere vissuto.

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“…il Congo non è l’Africa dei safari…

Di cosa ti occupi in questo momento?

Come è facile immaginare, la realtà congolese non pullula di agenzie di comunicazione. Accantonato dunque il mio lato PR, ho fatto prevalere quello della linguista (che, poi, è quello che preferisco). Oggi lavoro presso una scuola privata dove insegno italiano ai dipendenti di un’azienda e inglese ai bambini da 2 anni in su. Non rimpiango assolutamente il mio lavoro ‘europeo’: anzi, ora ho ottenuto una certificazione internazionale che ufficializza il mio ruolo di insegnante d’inglese come seconda lingua che, come spero, mi tornerà utile in una prossima esperienza estera.

Nella città in cui risiedo attualmente, Pointe Noire, la vita è molto semplice: la cosa più eccitante è andare a fare la spesa. No, davvero. Non ci sono negozi, non ci sono cinema; c’è un unico supermercato, dove è un’impresa reperire la ricotta o il mascarpone (ma se li trovi, allora vai avanti a paccheri e tiramisù per un mese di fila). Il fine settimana però si può andare al mare – l’Atlantico è ruggente, le spiagge sono selvagge e, nella stagione giusta, non è raro avvistare qualche balena – oppure si può partire per un’escursione in foresta. In Congo c’è una delle foreste pluviali più grandi al mondo, dove vivono scimpanzè e gorilla, questi ultimi una specie protetta che mi ha davvero toccato il cuore.

Nella presentazione, hai accennato ad un periodo trascorso a Londra. Raccontaci qualcosa.

Ebbene sì, ho trascorso un lungo periodo a Londra, città in cui desideravo vivere sin da bambina. Nel 2007 ho realizzato il mio sogno e mi sono trasferita; allora abitavo a Milano e di quella città odiavo tutto: dal lavoro, uno stage inconcludente, alla gente. In genere mi ritengo una persona positiva e, di conseguenza, ho il ‘vizio’ di sorridere spesso: un mattino, ricordo che la mia capa entra in ufficio più frustrata del solito, mi guarda e dice “ma tu che cosa avrai da essere sempre contenta!”. E se ne va sbattendo la porta. Non ho avuto nemmeno il tempo di dirle buongiorno. Questa era la ‘mia’ Milano.

Per cui, basta. Se volevo partire, quello era il momento di farlo. A Londra ho trovato un impiego serio nel giro di tre mesi, presso un’agenzia di comunicazione in cui sono cresciuta tantissimo, passando da semplice junior account ad account manager nel giro di un paio di anni. Un ambiente internazionale, stimolante, dove mi occupavo di progetti UK, italiani e spagnoli. E quando sorridevo, la gente non aveva problemi.

Forse sono stata troppo sfortunata in un caso e troppo fortunata nell’altro, non lo so. Ad ogni modo, Londra era – ed è – ancora la città dei miei sogni e questo, al tempo, mi ha aiutata a realizzarli (e a realizzarmi). In pochissimo tempo ho ottenuto quello che in Italia non mi sarei mai sognata di avere: un lavoro a tempo indeterminato e indipendenza economica. Eppure ero sempre io, con lo stesso carattere e le stesse competenze lavorative: perché a Londra ha funzionato e a Milano no?

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Dopo Londra, il Congo…

Mi collego alla puntata zero e alle 7C: quale ritieni di aver affrontato/sottovalutato/non considerato? E quanto è utile/necessario fare una riflessione del genere prima di espatriare?

Qualunque sia la meta, credo che, prima di partire, sia molto importante fare una riflessione per prima cosa sulla complessità (complexity) del luogo in cui andremo a vivere. E’ facile capire cosa si lascia, cosa si perde: non lo è altrettanto capire ciò a cui si va incontro. Alcuni scenari sono così complicati che fare ipotesi è molto difficile, quasi impossibile: però credo sia sempre il caso di provare a valutare, nei limiti del possibile, cosa si potrebbe rischiare di vincere.

Poi, inevitabilmente, arriva il domandone: ogni espatrio, per forza di cose, stravolge la vita. Siamo pronti al cambiamento? È in questa fase che bisogna guardarsi dentro: quanto siamo davvero disposti a cambiare (consolidation)? Quanto impegno (commitment) siamo pronti a dispensare per riuscire nel nuovo percorso che desideriamo intraprendere, umano o professionale che sia? Diverse sono state le riflessioni pre-partenza che mi hanno portato prima a Londra e poi in Congo.

A Londra c’ero già stata più volte e qualcosa la sapevo già. Sapevo che era (è) una città cosmopolita, occidentale, avanzata. Sapevo che in Oxford Street c’era Top Shop, che il cambio della Guardia a Buckingham Palace era alle 11.30 e che da Leicester Square a Covent Garden si fa prima a piedi che non in metro. Non sapevo invece da che parte cominciare per cercare lavoro, come muovermi con le recruitment agency, cosa dire ai colloqui. Sono cose che, però, ho appreso là, spesso anche a suon di porte in faccia e momenti di sconforto. Ma la cosa principale, la più bella che ho imparato, è che Londra offre tutti – ma proprio tutti – gli strumenti per riuscire. Ovvio che, poi, sta al singolo individuo la capacità di combinarli a proprio vantaggio.

Diverso è il discorso Congo, innanzitutto a partire dal motivo dell’espatrio. A Londra c’ero andata per scelta, con in testa un progetto mio e, se proprio le cose fossero andate male, bhè, sarei potuta tornare in Italia quando volevo. Il trasferimento in Congo invece è stato il frutto di una scelta di coppia che, per me che viaggiavo ‘come moglie’, non prevedeva alcun progetto concreto al momento della partenza. Da qui, la necessità di reinventarmi, di trovare comunque quel progetto mio, per non essere solo ‘la moglie di’ ma per continuare ad essere me stessa e portare avanti la mia professionalità – e la mia personalità – seppure in un campo diverso. Ho voltato le spalle a una routine lavorativa fatta di comunicati da scrivere e conferenze stampa da organizzare per dedicarmi a una professione completamente nuova, per la quale ho dovuto ripartire da zero, rimettermi a studiare. Ogni lezione che do, è una lezione in cui la prima a imparare qualcosa sono io.

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Un lato positivo del Congo…

Immagino non sia stato per nulla facile gestire questo cambiamento: hai avuto il tempo sufficiente per metabolizzarlo?

Sarò onesta: i primi mesi sono stati pessimi, davvero orribili. Della serie ‘voglio la mamma’.  CV inviati in giro – la maggior parte delle imprese presenti in Congo si occupa di logistica, trasporti, oil&gas – zero considerazione. Giornate anonime, in bilico su un filo sospeso tra l’inedia e la futilità. Cosa faccio oggi? Vado a fare la spesa e cucino manicaretti aspettando che il maritino ritorni dal lavoro? Oppure no, aspetta che prendo uno dei tanti opuscoli dei ‘club al femminile’ (ce ne sono numerosi in città) per vedere cosa hanno in programma: lunedì corso di zumba, martedì di cucito, mercoledì caffè e pasticcini a casa della moglie X, giovedì atelier di ceramica, venerdì camminata veloce per smaltire i pasticcini del mercoledì. Anvedi. Rettore, quando hai finito con le lamette, passamele, grazie.

Ecco, a questo punto, ho fatto un bel respiro. Tornare in Italia? No, non mi è mai passato per la testa; sarebbe stata una doppia sconfitta. In primo luogo perché come, dicevo prima, il trasferimento in Congo è stata una decisione di coppia, quindi un eventuale rientro avrebbe inevitabilmente condizionato anche le scelte di mio marito. E secondo perché… bhè, sono Leone ascendente Scorpione: sono cocciuta e…. odio perdere!

Poco alla volta, ho capito che il lato positivo di paesi come questi, dove c’è poco o nulla – non un cinema, non un negozio, nemmeno la possibilità di evadere per un weekend, dato che le città più ‘vicine’ distano svariate ore di volo –  è che offrono due cose molto preziose. La prima è il tempo. Semplicemente. Quel tempo che un lavoro d’ufficio e un tragitto in metro più o meno lungo ti portano sempre via. Invece, qui, di tempo – almeno nei primi mesi – ne avevo a palate. L’ho riversato in due mie passioni: ho cominciato a studiare giapponese online e ho aperto un travel blog, dato che viaggiare è la cosa che più amo fare al mondo. Queste due attività mi hanno aiutata molto all’inizio del mio soggiorno africano: mi hanno fatta sorridere, appassionare, incuriosire. Tra la stesura di un post e un po’ di hiragana (uno dei tre sistemi di scrittura della lingua giapponese ndr), ho ritrovato la tranquillità e, gradualmente, ho capito la seconda cosa che il Congo aveva da offrimi: un’occasione per ‘ricostruirmi’, per mettermi alla prova con qualcosa di nuovo, come spiego qui sotto.

Nel tuo blog dici che “il viaggio è qualcosa di troppo personale”. Lo stesso penso si possa dire per l’espatrio. È realistico catalogare tutto nelle 7C, come fa HBR?

E’ molto, molto personale anche l’espatrio. Inquadrare tutto nelle 7C non è sempre possibile, spesso nemmeno dopo mesi di residenza: nel caso del Congo, in quanto a Complexity e Clarity… ti lascio immaginare! Credo comunque che la vita dell’expat sia un continuo soppesare una serie di variabili. O, per lo meno, per me è così: continuo a farmi domande, a chiedermi cosa posso fare per migliorare il mio percorso in un contesto che – è evidente – non è il mio. Credo sia perfettamente normale avere un momento (anche mesi eh!) di smarrimento ma, sicuramente, quello che serve, nell’espatrio come nella vita di tutti i giorni, è molta fiducia in sé stessi (Confidence) e voglia di mettersi in gioco quotidianamente. Tutto ciò può implicare un cambiamento ma, attenzione, mai uno stravolgimento della propria identità: se mi fossi messa a fare corsi di zumba e cucina, semplicemente non sarei stata io.

Grazie ad un corso che stavo frequentando per rinfrescare il mio francese (lingua ufficiale qui in Congo Brazzaville), mi è stata data la possibilità di lavorare una settimana come interprete inglese/francese per un trombonista americano, ex band leader di James Brown (una leggenda della musica soul insomma, per gli appassionati del genere!). Mi sono buttata a capofitto in questa esperienza, lavorando con la band, partecipando a workshop e serate musicali, entrando nel vivo della realtà congolese. Ma soprattutto ho conosciuto persone, una delle quali mi ha messa in contatto con una scuola privata: avevo mai dato lezioni di italiano? Volevo provare? Ma, aspetta, visto che parli così bene inglese, te la sentiresti di tentare anche con questa lingua?

“Ok” – ho detto. “Posso provarci”. Mi sono messa a studiare: sono state settimane di preparazione intensa, fatte di libri di testo con note a margine, consigli e colloqui con altri insegnanti, appunti presi, cancellati e riscritti, assistenze in aula, lezioni preparate a casa e impartite a una classe immaginaria, ad ascoltarmi solo Namastè, il mio labrador. Poi finalmente ho preso i miei libri e sono andata alla prima lezione. Che non credo sia andata troppo bene, a dir la verità. Ma la seconda è andata meglio e la terza decisamente meglio. Ora, a oltre sei mesi di distanza da quella prima volta, sono più sicura di me: è chiaro che devo ancora migliorare parecchio, ma mi sento dentro al ruolo. Non mi manca affatto la routine dell’ufficio stampa ma so già che, quando lascerò il Congo, mi mancheranno i bimbi a cui insegno inglese.

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…e un altro lato positivo…

Cosa vedi nel tuo futuro, ancora estero o Italia? Perché?

Il mio futuro… non so, non oso fare progetti. L’ultima volta che ne ho fatti avevo in mano dei libri di cinese, stavo accarezzando le pagine con gli ideogrammi e non vedevo l’ora di partire. Poi sono finita in Africa. Per questo preferisco non pensare a lungo termine. Spero però che nel mio futuro ci sia sempre una valigia da fare e un aereo da prendere. Del resto la mia citazione preferita è life is not meant to be lived in one place.

Proviamo a chiudere il cerchio che ho aperto all’inizio: ma perché “non mettetemi al volante, per l’amor di Dio”?

Per un motivo molto semplice: non so guidare. Ma nemmeno l’autoscontro del luna park, fidati. Cioè, la patente, in realtà, ce l’ho. L’ho conquistata con lacrime (molte) e sangue (poco), ma poi ho capito che – per il bene di tutti – è meglio che a guidare siano gli altri. Da cui il nome del blog Baby you can drive my car: calza perfettamente, no?


Il travel blog di Cristina >> Baby you can drive my car

Il primo lavoro in Africa >> Rumba&Soul: la musica in Congo

La puntata zero di Si viene e si va >> Le 7C

 


15 risposte a "Mi date un passaggio in Congo? – Si viene e si va (due) #1"

  1. Un bellissimo post per inaugurare la seconda stagione della rubrica, complimenti Stefano e Cristina! 🙂
    L’esperienza di Cristina è veramente interessante da leggere, devo dire che mi sono riconosciuta molto nella sua esperienza milanese. E non ho risposta alla domanda “perché a Londra si e a Milano no?”. Me lo sono chiesta anche io quando sono arrivata a Barcellona. Insomma, sorridiamoci su, che con quello si vince spesso, anche se certa gente non lo capisce. Per quanto riguarda l’esperienza in Congo, io provo una sana invidia nei tuoi confronti: sicuramente si tratta di un Paese che è difficile scegliere come destinazione di vita, ma quante cose ha da insegnare, in ogni caso, cambiare così tanto contesto e conoscere un nuovo pezzetto di mondo giorno per giorno? In bocca al lupo! 🙂

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    1. Ciao Giulia, comincio a rispondere per la mia parte. Posso dire che abbiamo cominciato con un’esperienza molto bella e particolare. Seguo Cristina da un po’di tempo e il suo blog è l’espressione di questa sua volontà di “riuscire”. Il passaggio più forte è secondo me quello del “Tornare in Italia? No”. Sarebbe stata la soluzione più semplice, ma Cristina ha voltato pagina, con coraggio e determinazione.
      Oggi dopo 14 mesi si legge ironia e leggerezza nei suoi racconti, ma le difficoltà sono state tante e questo la rende una donna veramente forte e in gamba. Un grazie a Cristina per avermi offerto la sua disponibilità.
      E grazie anche a te Giulia per il commento!

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  2. Oh, ma grazie a entrambi!! 😀 Giulia, anche Stefano mi aveva chiesto di provare a dare una risposta al famoso domandone marzulliano, ma ho preferito lasciarlo aperto… con Milano non ho ancora fatto pace del tutto.
    Chissà che una volta tornata dal Congo non riesca a diventare più zen! 😉

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    1. Penso davvero che senza Confidence il ritorno in Italia sarebbe stata l’unica soluzione. Davvero ammirevole invece la tenacia e la forza di volontà di Cristina, supportate da un alto livello di fiducia in se stessi. Ciò che è riuscita a realizzare nella sua prima esperienza, raccontata nell’articolo che ho linkato in fondo al post (Rumba&Soul), è proprio frutto della voglia di riuscire. Davvero complimenti.

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  3. Complimenti a tutti e due… lo spirito di Cris è quello che ammiro, una cittadina del mondo nel vero senso della parola… ed il tuo blog è fonte di ispirazione e…sogni… devo passarci più spesso…

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    1. Ciao gigi, troppo buono, ma se passi più spesso mi fa piacere!! 🙂
      Cristina è proprio una cittadina del mondo. Leggere il suo blog è rilassante (anche se fa anche venire un bel po’di invidia!). E la sua esperienza è davvero splendida!
      grazie del passaggio!

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  4. Ciao Stefano, ciao Cristina! Ti ho “seguito” dal blog trent’anni e qualcosa e, motivata a cercare un’intervista a Giulia (che immagino si trovi da qualche parte, però mi sono persa!), ho letto quella di Cristina e sono rimasta affascinata da questa meravigliosa esperienza! Un’intervista secondo me sincera, genuina. Il fatto di ammettere la difficoltà (anche se iniziale) non è da tutti, un segno di cedimento che non è stato assecondato da quello di tornare in Italia. Nonostante la distanza, mi sono sentita vicina.

    Come già sai Stefano intendo andarmene dall’Italia, se tutto va bene per giugno, altrimenti slitterò di due o tre mesi, ma già sento un po’ di tremore alle gambe. Non ho MAI vissuto lontano dalla mia città e, anche se da anni ormai vivo sola, lasciarsi dietro le (in)certezze, anche se pochissime e precarie, non è facile.

    Cristina, sei stata fantastica a partire per l’Africa, un posto così diverso! Immagino che ha davvero molto da donare, anche se non dal punto di vista materiale. Due blog in più da seguire, questo e quello di Cristina 🙂

    Ps: il tuo blog mi fa venir voglia di partire ORA!

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    1. Ciao Claudia, benvenuta!
      Troverai l’intervista a Giulia nella sezione Si viene e si va, dove puoi leggere tutte le interviste fatte in questo anno e mezzo di rubrica (il post di Giulia si intitola Dall’altra parte del Mediterraneo).
      Anche l’esperienza di Cristina è molto bella. Grintosa, appassionata, direi anche orgogliosa, proprio nel non voler accettare una condizione, che è quella di “moglie al seguito”.
      Ti consiglio anche di leggere la puntata #0 della seconda stagione, si parla proprio della gestione del cambiamento. Magari ti è utile focalizzare qualche aspetto che finora non hai preso in considerazione e che potrebbe aiutare nel ridurre quel tremolio alle gambe (naturale e giustificatissimo, tranquilla!) che ora senti.
      Proprio nei prossimi giorni pubblicherò un post della rubrica, è in fase di editing.
      Ancora in bocca al lupo e ti aspetto tra le pagine di questo blog! A presto!

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      1. Grazie del benvenuto e delle dritte per navigare sul tuo blog 🙂 Leggere le interviste porta via un po’ di tempo, ma chissà che nel giro di poco non le smaltisco tutte! Leggere le esperienze delle altre persone è favoloso. Per adesso, mi leggo la puntata #0! Grazie, a presto!

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        1. Le interviste le trovi sempre lì, non scappano di sicuro!
          Quando hai tempo, le leggerai con calma, anche perchè solo così riuscirai a percepire le emozioni e le caratteristiche di ogni esperienza.
          Grazie a te!

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