In vacanza da una vita – Si viene e si va #2

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La seconda puntata di Si viene e si va ha per protagonista Simone, che ci farà viaggiare tra la Finlandia e il Sudafrica.

Benvenuto Simone, la scena è tutta tua.

Sono Simone, 37 anni, di origini piemontesi, più precisamente di Mondovì, dove ho frequentato le scuole; mi sono poi trasferito a Torino dove ho conseguito il diploma universitario in Ingegneria, successivamente convertito in Laurea (BSc). Durante il periodo universitario mi venne chiesto di selezionare un paio di aziende dove fare un tirocinio che facesse maturare crediti formativi. Vodafone HQ Ivrea si fece avanti e, per mia fortuna, fui l’unico a propormi. Dopo pochi anni trascorsi in Vodafone, mi resi conto di voler testare me stesso in un contesto lavorativo più internazionale. Dopo un certo numero di colloqui con “head hunters” e “corporations”, avevo maturato l’esperienza necessaria per poter gestire un colloquio in lingua inglese abbinato ad un CV scritto in un modo che potesse risaltare agli occhi dei “recruiters”. Fui così selezionato da Nokia, che mi portò nella sua sede principale, ad Espoo, in Finlandia.

Immagino non sia stato facile adattarsi ad un paese ed un contesto per molti aspetti completamente diversi dal nostro…

In realtà ho avuto la fortuna di incontrare subito alcuni ragazzi italiani che nel tempo sono diventati amici inseparabili con i quali ho condiviso alcuni dei più bei momenti della mia vita. Inoltre, i primi anni facevo parte di un gruppo di supporto globale agli operatori di telefonia mobile, per cui viaggiavo costantemente attraverso più di trenta paesi, in alcuni dei quali ho vissuto per periodi che andavano dalle 3 settimane ai 18 mesi (Israele, Ucraina, Svezia, Austria, Francia, Italia, Spagna, Filippine, Kuwait, Dubai, Iran, Thailandia, Singapore, Libano, Arabia Saudita, Estonia, Russia…). Ho così imparato ad integrarmi in ambienti nuovi sempre più velocemente: il nuovo era diventato la normalità, al punto che ricercavo quasi ossessivamente il diverso.

Dunque la vita in Finlandia non sembra aver rappresentato un peso…

Vivere in Finlandia significa abituarsi al buio e al freddo dell’inverno, alle brevi estati, a volte calde, il tutto condito da cibo costoso e non di gusto. Eppure l’adattamento consiste nel guardare altrove: per esempio, la facilità nel risolvere qualsiasi intoppo burocratico in un paese che risulta essere il più efficiente e tecnologico al mondo; lavorare poco ma efficientemente (la giornata lavorativa si conclude alle 15:30-16); avere la sauna in casa e bere vodka ghiacciata assolutamente in libertà, anche con sconosciuti; tuffarsi nei laghi ghiacciati e passeggiare sul mare anch’esso ghiacciato; girovagare in motoslitta sotto l’aurora boreale in Lapponia. Adattarsi significa anche imparare a gestire le donne scandinave, molto più emancipate rispetto agli standard mediterranei, e i timidi ma integri uomini. Infine Helsinki rappresenta un ottimo crocevia per varie destinazioni (Paesi Baltici, Russia, Scandinavia). Se vogliamo, il freddo diventa un’occasione per testare qualche nuovo cocktail (campari orange fu la bibita ufficiale degli italiani) e il cibo un’opportunità per insegnare la nostra arte in cucina a qualche bella donzella nelle accoglienti e calde case finlandesi. Abbiamo anche creato un team chiamato “Teamlaiset”, nel quale i vari membri, rigorosamente italiani e molto vivaci (meglio non entrare nel merito!) condividevano le gioie e i dolori del vivere in Finlandia. Un canale svedese ci fece anche un video, mandato in onda da un programma di una TV finlandese, per documentare la nostra “gang” (2004). Come vedi, io ho sempre scelto il bicchiere mezzo pieno.

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tra le nevi della Finlandia

E poi, la tua vita cambia…

Un giorno, su un aereo che mi portava da Helsinki a Tel Aviv, ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie, una ragazza israeliana. Una volta sposati, decisi che la vita da viaggiatore dovesse quanto meno moderarsi: così negoziai una posizione in sales&marketing, che, pur richiedendo frequenti viaggi, mi permetteva di limitarli alla settimana lavorativa.

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un particolare di Gerusalemme

I cambiamenti non sono ancora finiti, perché ci spostiamo in Sudafrica.

Dopo anni di freddo e gelo, cibo alquanto discutibile, seppur in un sistema paese eccellente, avevo necessità di cogliere nuove sfide e provai a cercare lavoro in una multinazionale americana nella lista delle aziende più tecnologiche al mondo. Il metodo di ricerca era approssimativamente lo stesso: in generale, quando voglio cambiare lavoro, definisco chiaramente il tipo di azienda, la posizione, il salario a cui aspiro. Per cui, come nel caso di Nokia, mi sono focalizzato su un’azienda, ho cominciato a monitorare il sito web, verificando se ci fossero posizioni aperte, non importava in quale parte del mondo. Dopo una selezione durata quattro settimane ed una dozzina di interviste telefoniche, sono stato assunto a Johannesburg, dove attualmente risiedo con tutta la mia famiglia. Il Sudafrica è un ottimo posto dove maturare un po’ di esperienza, in un mercato emergente; inoltre, ho la fortuna di lavorare in un’azienda leader e tecnologicamente unica, la Qualcomm. È infatti la più importante azienda al mondo nella produzione di processori, quindi semiconduttori, per telefoni, tablets e dispositivi mobili: co-fondata da un italiano, è una tipica azienda americana, basata a San Diego (California) con estensione globale. In Sudafrica, io mi occupo dell’aspetto tecnologico dei nostri prodotti in tutto il Medio Oriente e Africa. Viaggio principalmente su Lagos, Nairobi, Cape Town, Dubai e mi spingo fino ad Hong Kong e Shenzhen.

Continui a viaggiare molto, quindi. La tua famiglia è riuscita ad integrarsi a Johannesburg? Che tipo di città è?

L’integrazione, per fortuna, è stata praticamente indolore per tutti quanti e devo dire che ormai la mia famiglia è abituata sia a spostarsi, sia al mio continuo peregrinare, ormai considerato routine. Johannesburg è una città interessante, un po’ pericolosa ma che sa offrire grandi emozioni. Un clima e un cibo eccezionali si affiancano alla vicinanza a mete di fama internazionale (Mozambico, Maldive, Madagascar, Namibia…). Ad oggi, siamo molto contenti e le mie bimbe hanno già imparato ad adattarsi al diverso, molto in anticipo rispetto al padre. Nello stesso tempo, credo sia giusto che imparino a riconoscersi come italiane (e magari israeliane in un secondo tempo) per avere un punto solido di riferimento. Soprattutto nelle scuole internazionali, le maestre enfatizzano la diversità e molto spesso usano le nazionalità come occasione di studio e confronto. Devo però confessare che al momento l’italiano non è la lingua principale nella nostra famiglia, essendo io l’unico madrelingua!

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Simone con la famiglia al completo

Sottolinei l’importanza della diversità, che, stando anche alle tue riflessioni, deriva dalla capacità di adattarsi e di confrontarsi con culture molto diverse dalla nostra.

Il saper convivere con altre culture e rispettarne le differenze è fondamentale: non è sempre facile ed immediato e non tutti i giorni sono uguali, ma con il tempo e l’esperienza alla fine non è poi così impossibile. In generale non ho mai avuto difficoltà ad ambientarmi. Prima di tutto, ritengo fondamentale saper star da soli: soprattutto nei periodi di studio/vacanza all’estero, mi è capitato spesso e ne approfittavo per imparare a conoscermi, concedendomi dei giri in solitaria che però mi hanno permesso di stringere rapporti in pochissimi secondi. Un secondo aspetto importante da considerare in un paese straniero è la capacità di essere flessibili e sorvolare su alcuni aspetti che potrebbero portare a conflitti, piuttosto che cercare “amici” a tutti i costi. Io sono avvantaggiato, perché ho sposato una donna speciale ma con una cultura molto diversa: ho imparato che, quando ci si confronta con altre culture, si deve utilizzare un approccio cauto, neutro e bilanciato, almeno all’inizio, rimanendo distanti da prese di posizione politiche e/o culturali fino al momento in cui si matura quel minimo di relazione interpersonale e confidenza che permetta un approccio più profondo e dedicato. Lo scontro non porta mai vantaggi, ma allo stesso tempo bisogna assicurarsi che si venga rispettati e apprezzati per le proprie competenze e qualità, indipendenti dal tipo di passaporto o connotazioni. È un equilibrio importante da raggiungere se si vuole navigare nel contesto internazionale a testa alta. Indubbiamente ci sono paesi con cui l’italiano medio ha una maggior facilità nel relazionarsi (Spagna, Grecia, Turchia, Argentina..) e altri molto meno.

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popoli e culture diverse

Domanda di rito: ti manca l’Italia?

L’Italia mi manca a giorni alterni: come a tutti gli italiani che ho incontrato all’estero, mi manca principalmente per le vacanze, il cibo, gli amici ma non sicuramente per il contesto lavorativo. La meritocrazia è comunemente menzionata come una delle cause del non ritorno ma, se può rassicurare, anche all’estero ci sono eccezioni e non tutto è così perfetto come sembra. Siamo purtroppo oggetto di scherno (il picco massimo lo abbiamo raggiunto durante il governo Berlusconi) ed identificati con i soliti stereotipi. Un consiglio: evitare sterili difese, meglio lasciar perdere o restituire il favore. Tutti i paesi hanno i propri stereotipi e punti deboli. È quindi importante tenersi informati!

Hai detto che la Finlandia ha un sistema paese eccellente: come vedi oggi l’Italia? 

Vedo un paese da un lato altamente tecnologico e innovativo, in grado di competere con le sue eccellenze e risorse umane ad ogni livello ed in ogni parte del mondo; dall’altro lato, e questo mi infastidisce, lo vedo deteriorato, privo di aspetto civico e incapace di reagire all’illegalità. L’Italia è un brand potentissimo, che risuona nel mondo in ogni conversazione e contesto. Siamo rispettati ma non stimati, siamo ricercati ma non amati: in generale, penso che siamo molto studiati per la nostra storia e capacità, ma non credo ci invidino. Il nostro è un paese con le credenziali per poter essere tra i top 5 al mondo, ma purtroppo manca l’obiettivo comune, il leader giusto, la motivazione, lo spirito di squadra (Nord, Centro, Sud) e il rigore. Un’occasione sprecata e che continuiamo a sprecare da decenni sfidando la fortuna. L’ultima volta che abbiamo giocato come una vera squadra abbiamo vinto il mondiale, eppure ci piace essere un paese di individualisti impeccabili.

Cosa vedi nel tuo futuro? Estero o Italia?

Il futuro non lo vedo semplice, purtroppo. Il lavoro fisso non esiste più e sinceramente l’unica e l’ultima volta che l’ho avuto è stato, guarda caso, in Italia. Il posto fisso non è cool e non deve essere un obiettivo, mentre lo è il realizzarsi sul posto di lavoro e nel tempo libero. Ovviamente il sistema deve aggiornarsi di conseguenza. È una mentalità che può essere cambiata. Il datore di lavoro paga in cambio della propria professionalità e pagherà fino a che il servizio offerto sarà di valore, essenziale e competitivo. Come in un ristorante, se il servizio non è all’altezza non ci ritorni. Il posto di lavoro va meritato e mantenuto e non è dato di diritto. Pertanto continuo a re-inventarmi rimanendo attivo e aggiornato, spingendomi continuamente oltre i confini della mia “comfort zone” ridiscutendola ogni giorno. Può sembrare stressante se vissuto troppo seriamente, ma è un meccanismo di difesa che mi permette di dormire notti tranquille. Non c’è spazio in questo mondo globale per figure che tendono ad accomodarsi. L’Europa nel mio settore è definita flat, a crescita zero, mentre i mercati emergenti e anche i più consolidati come Corea, Giappone, Cina e Stati Uniti continuano a contribuire alla crescita. Proprio per questo nel mio futuro prossimo non vedo molte opportunità in Italia, anche se non nascondo di monitorare costantemente la situazione, nel caso si presenti un’occasione per poter rientrare.

Stando alla tua esperienza, come bisognerebbe scegliere l’università al giorno d’oggi? Sono cambiati i criteri rispetto ad una volta? 

Ingegneria ed Economia (aggiungerei anche Medicina) sono facoltà che danno il maggior numero di opportunità all’estero associate a retribuzioni decenti. Riconosco anche il fatto che qualcuno debba intraprendere strade diverse e lavorare in ambiti altrettanto importanti come per esempio la conservazione dei nostri ricordi, della storia e delle tradizioni. Detto questo, scegliere una buona università e laurearsi nei tempi giusti con votazione buona o ottima non costituiscono più l’assicurazione di un lavoro e per di più ben pagato. Gli ingegneri cinesi e indiani (ma non solo) hanno portato competizione e competenze a minor costo. La competizione richiede innovazione e questa è ciò che ha reso l’occidente unico e che ancora non è stato esportato e assimilato in altre parti del mondo. Questo è fondamentalmente ciò che è richiesto ad una figura giovane (europea/occidentale), pronta ad affrontare il mondo globale del lavoro. Il thinking out of the box rimane una peculiarità occidentale e come tale va sfruttata. C’è poi il problema della lingua: l’inglese ancora oggi rimane un problema per molti ed è assolutamente inaccettabile che molte figure non sappiano esprimersi perfettamente in almeno tre lingue, di cui una deve essere l’inglese. Un cambio strutturale nel sistema educativo italiano non sarebbe così costoso da implementare, possibilmente con insegnanti madrelingua. Ma è bene ricordare che tutti hanno una laurea in un certo contesto e che la scuola propone gli strumenti più o meno complessi per interpretare la realtà. Si può usare una spada per potare un albero in giardino o per conquistare il mondo. L’università non insegna  a lavorare, a viaggiare e ad imporsi, ma aiuta a costruirsi una spada: sta ad ognuno decidere come utilizzarla nel corso della propria carriera. La fortuna gioca anche un ruolo non trascurabile così come la varietà e la qualità delle persone di cui ci si circonda.

Perché un giovane, oggi, dovrebbe fare un’esperienza all’estero? E qual è il momento giusto per farla? 

Un’esperienza all’estero è formativa a 360 gradi ed aiuta a compensare le lacune che il sistema Italia non ha colmato. È un modo per incrementare le probabilità di successo, per vedere le dinamiche che governano il nostro pianeta da un punto di vista diverso ma non necessariamente migliore e crearsi un’opinione più giusta e completa. Andare all’estero è divertimento allo stato puro, basta saper cogliere le opportunità (non solo lavorative) che si presentano quando meno te l’aspetti. All’estero si è in un ambiente anormale rispetto all’Italia, dove si viene visti come diversi e dove io stesso mi sento diverso e quindi unico: io mi sento perennemente in vacanza! Le occasioni aumentano esponenzialmente se ci si comporta diversamente. Consiglio sicuramente il programma Erasmus che rimane di fatto il veicolo più noto ed approcciabile: io personalmente non l’ho potuto seguire ed infatti ho fatto più fatica ad uscire dal contesto nazionale. Nello stesso tempo, l’Erasmus è pericoloso e molti non ritorneranno mai più. Perché? Nessuno lo può spiegare, si può solo provare!


9 risposte a "In vacanza da una vita – Si viene e si va #2"

  1. Bellissimo articolo, mi ritrovo in molte frasi, non sono stata negli stessi Paesi ma provo le tue stesse sensazioni nei confronti dei viaggi e dell’Italia. Se tornassi a vivere in Italia adesso, dopo dodici anni via, non avrei nulla ad aspettarmi, e allo stesso tempo riavrei tutto ciò che è mio. Complimenti per la bella famiglia e grazie di aver condiviso la tua eccitante storia di vita!

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  2. Mi associo a Lisa per sottolineare che l’esperienza di Simone è davvero forte. Ma solo chi è all’estero o ci è stato è in grado di capire. Discutevo proprio con Simone di quanto fosse demotivante sentire amici che quasi criticavano la mia (e di mia moglie) scelta di andare in Cina. “Si sta così male qui in Italia? io non ci andrei neanche per tutto l’oro del mondo!”. Esperienze così non si quantificano in termini monetari (per quanto è indiscutibile che i soldi facciano comodo), ma in ciò che lasciano. E noi tuttora ci rendiamo conto di quanto la Cina ci abbia cambiato.
    Io devo proprio ringraziare Simone per aver condiviso sul mio blog la sua esperienza, nella speranza che sia arricchente per qualcuno!

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  3. Sono davvero interessantissimi questi racconti di vita e pieni di spunti di riflessione. Cadauno con la propria esperienza, una gran bella cosa avere la possibilitá di viaggiare. Le sensazioni che restano sono ogni volta diverse, nessun posto è uguale all’altro anche se di bellezza similare, e ciò che ognuno di noi vede e vive è differente.

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    1. Ciao relaxingcooking, benvenuta! Verissimo: storie diverse, posti diversi, con esperienze mosse dai più svariati motivi. Questo blog è nato dall’esigenza, alcuni anni fa, di dimostrare che le prospettive sono le più differenti. Raccontare e conoscere queste storie mi permette proprio di rivivere, insieme ai protagonisti, le loro scelte e i loro percorsi. ed è una sensazione splendida.
      Avanti con altre storie, tra cui il Sudamerica, per esempio?!
      A presto e grazie per il commento!

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