Sarà l’estate, sarà il desiderio di una baita a cui associo la rilassante lettura della Rosa, sarà che da tre anni non riuscivo a farmi coinvolgere così tanto dagli avvenimenti sportivi causa fuso orario, insomma, in questi giorni le mie argomentazioni sono sempre infarcite di sport. L’Europeo, una Ferrari con risultati in crescita, l’imminente Tour de France e l’avventura olimpica all’ombra della Regina caratterizzano la torrida estate in corso.
Quanto, tuttavia, è ancora vivo al giorno d’oggi lo spirito genuino di Pierre de Coubertin? Quanto cioè conta il gesto sportivo in sé? Nell’antica Grecia, i giochi olimpici rappresentavano un periodo in cui si interrompevano tutte le guerre: ciascun maschio libero (agli schiavi la partecipazione non era concessa) poteva confrontarsi in una specialità e le gesta del vincitore venivano premiate con una corona di ulivo e impresse in poemi o statue che immortalassero l’impresa. Era dunque una questione di onore e di dignità. Ad un mese dall’inaugurazione dei giochi londinesi, quanti atleti stanno preparando questa avventura (che per alcuni si esaurisce in un salto, in un lancio o in pochi secondi di uno scatto) con la sana pressione della prestazione sportiva, del raggiungimento di una medaglia indipendentemente da quello che possa essere il tornaconto economico? Ricordo la buffa polemica a margine dei Giochi Olimpici del 2008 tra le nazionali di scherma (maschile e femminile), vincitrici di una pioggia di medaglie e costrette a tornare in Italia in Economy Class, a dispetto della Nazionale di Calcio, che invece era stata eliminata e rientrò in patria in Business. Il valore dello sport, evidentemente, non è parametrato sulla meritocrazia e su sani atteggiamenti di competizione (strano, in Italia non succede mai…), ma sulla visibilità mediatica: negli ultimi decenni, molti atleti sono diventati personaggi da copertina per vicende di vario genere, chi per il gossip, chi per il doping, chi per lo stipendio faraonico che qualche magnate della finanza ha generosamente elargito. Il binomio atleta-sport è ormai un quadro sbiadito.
Ricordando nuovamente le Olimpiadi di Pechino 2008, la manifestazione era stata impostata, neanche troppo velatamente, come una sorta di manifesto politico della emergente Cina, con l’obiettivo di sottolineare la capacità in pochi anni di allestire strutture e soprattutto atleti in grado di primeggiare in ogni specialità: atleti che dunque partecipavano per rimpinguare il medagliere del loro paese. Ognuno di essi è diventato un eroe nazionale, ma non tanto per l’impresa sportiva, quanto per avere permesso al proprio paese di primeggiare sul resto del mondo.
Tornando poi a notizie più recenti, con quale obiettivo sportivo Marcello Lippi, ex-commissario tecnico della Nazionale Italiana Campione del Mondo, è diventato allenatore del GuangZhou Evergrande? Lo stesso dicasi per giocatori come Didier Drogba, fresco vincitore della Champions League, che ha firmato con lo Shanghai ShenHua alla modica cifra di 13 milioni di euro a stagione. Mi è capitato di vedere sulle tv cinesi le partite del campionato nazionale e vi posso assicurare che sui nostri campetti di oratorio si vedono degli spettacoli più decenti. Cifre del genere possono valere veramente più di quella adrenalina sportiva che porta a scontrarsi anche contro chi è più forte di noi? Una corona di ulivo non ha un valore economico, ma ha sicuramente una grande dignità.