Se telefonando

Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta, ti guarderei.
(Mina)
Telefonini, Smartphone

Vorrei fare una riflessione sul rapporto essere umano/smartphones (o tablets), traendo spunto da due interessantissimi articoli estratti dai blogs dell’Harvard Business Review. Nel primo articolo, di stampo un po’più manageriale, Ndubuisi Ekekwe, fondatore dell’associazione no-profit African Institution of Technology, riporta un’esperienza sull’utilizzo “24/7” (ovvero 24 ore al giorno, 7 giorni su 7) degli smartphones, in particolare in società di servizi o di consulenza, sostenendo che essi portino a ridurre il livello di produttività degli impiegati. Il secondo, invece, di stampo un po’New Age e molto sociologico, nasce dalla penna di Tony Schwartz, CEO di The Energy Project e si collega in parte all’argomento toccato nella Rassegna Stampa dell’11 marzo, nella quale accennavo al festival della lentezza. Consiglio a voi lettori di spendere qualche minuto per approfondire i due articoli.
Io invece cerco di traslare nella quotidianità tale argomento, riconducendomi, come accennato all’inizio, allo stravolgimento che i nuovi aggeggi tecnologici hanno apportato nelle nostre vite.
Di qualunque marca essi siano, a qualunque operatore telefonico essi si appoggino, questi strumenti ci permettono di essere costantemente collegati. In azienda, vedo colleghi leggere le mail sui propri melafonini o similfonini lungo la rotta che li conduce alla toilette, pur avendo abbandonato da non più di dieci secondi il computer: sia mai che i bisogni fisiologici facciano irritare un qualunque interlocutore a causa di un minuto di ritardo nella risposta! Ancora più odiose sono le scene di colleghi che mi invitano a prendere un caffè e poi, mentre si sta discutendo, sguainano con nonchalance l’Oggetto e si dedicano ai beneamati fatti loro, mentre io mi ritrovo a parlare con i loro capelli, essendo ormai i loro occhi fagocitati dal magico schermo. Senza rendercene conto, si genera una voce inconscia che ci consiglia subdolamente di non abbandonare mai il telefono, così da sapere sempre, in tempo reale, se qualcuno ci ha scritto, ha cinguettato o lasciato qualche commento su bacheche virtuali di ogni tipo. E quando si arriva a casa, dopo un’intensa giornata di lavoro, benchè stanchi e con la pressione a 220, sembra comunque che non si abbia il coraggio di staccare i ponti con il mondo virtuale: “eh sai, io ho contatti con tutto il mondo, a causa del fuso orario, la sera spesso mi ritrovo a dover ancora lavorare”. Quante volte io stesso mi sono ritrovato ad addurre scuse del genere.
La verità è che ormai siamo in assuefazione da virtual network, sia esso social o meno. Non in una sola occasione, mi è capitato di vedere in Cina (dove la malattia per gli smartphones è veramente acuta) ragazze sedute allo stesso tavolo a cena, in silenziosa venerazione dei propri telefoni, senza rivolgersi la parola per decine di minuti!
Allora proviamo a porci alcune domande: sappiamo ancora apprezzare la vera comunicazione, fatta di sguardi, gesti, discussioni face-to-face? Sappiamo ancora vivere in mezzo agli altri o siamo sempre più solitari, alla ricerca di una compagnia virtuale che difficilmente crea incomprensioni? Riusciamo a vivere ancora la nostra spontaneità o preferiamo nasconderci dietro nickname e finte credenziali? E ancora: sappiamo dare un valore al tempo? Sappiamo vivere le nostre giornate in maniera efficace? Siamo ancora capaci di alzare lo sguardo dai nostri strumenti elettronici ed apprezzare il mondo che ci circonda? A voi l’ardua sentenza.


8 risposte a "Se telefonando"

  1. Ehila' Stefano
    con me su questo argomento sfondi una porta aperta. E' sempre difficile parlare in giro delle criticita' dei nuovi media, perche' o passi per un troglodita o per un fesso. Per non parlare dell'ondata di permalosita' che gli amanti dei nuovi media ti riversano addosso.

    Io credo ci siano dei punti critici nell'uso di queste tecnologie, con cio' non voglio dire che siano inutili… certo che se usate in maniera eccessiva creano dipendenza o meglio addiction (in inglese addiction e' quasi sinonimo di tossicodipendenza). Uno puo' dire: basta limitarsi nell'uso… avere autocontrollo! Ebbene e' anche li che ti fregano, poiche' con i nuovi smartphone, e-qualsiasicosa, sei perennemente connesso, e bisogna avere l'autocontrollo di un monaco tibetano per non cadere nelle maglie del mailismo continuo. Io mi sono poi accorto a lavoro che il mio capo, passa tutto il giorno (anche fuori dall'orario di ufficio) a postare e leggere email. Qualita' della vita? Non rispondo.

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  2. io possiedo ancora un telefono vecchio stile. mica quello col filo, eh. intendo un cellulare che telefona e basta, al limite fa anche qualche foto, bruttarella. è pure marchiato tim. ho solo quello, e quando vado in italia devo cambiare sim.
    lo so, sono una troglodita. ma temo proprio che non avrei l'autocontrollo di un monaco tibetano. meglio non mettermi alla prova…

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  3. Sarà che io mi ritrovo ancora nella fase post-Cina, ma francamente se posso spendo il mio tempo all'aria aperta o comunque per altri hobbies. Sono munito di smartphone, ma credo ci sia un tempo per tutto. Occorre darsi le giuste priorità. E poi credo che si vada un po' per mode: una volta io anche ero appassionato di tutti questi marchingegni, ora preferisco una bella mangiata in compagnia!

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  4. Ciao Stefano…il tuo post arriva giusto giusto!
    Un paio di giorni fa…uscendo di casa mi sono accorto di aver dimenticato il telefonino, e ho sentito quasi una “necessità” di tornare indietro a prenderlo…e mi son fermato un po' a pensare.

    A pensare a quando adolescente esisteva solo il telefono di casa (almeno per me =) ) eppure si era sempre in grado di trovarsi con gli amici, organizzare incontri, trovarsi da qualche parte…senza la necessità di dover mandare SMS.

    Oppure a quando predevo la bici per pomeriggi interi, senza avere “l'angoscia” di 'ah cavolo sono senza cellulare dietro…e come faccio?!?'

    Alberto

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  5. Hai ragione, Alberto, anche a me capita di provare a pensare come vivevo una volta: mi piace ogni tanto rileggermi gli aforismi del “noi che…” della trasmissione “i migliori anni” di Carlo Conti, non perché sia un suo estimatore o fan, ma perché quei pochi minuti mi fanno rievocare aspetti che veramente ho dimenticato. Per esempio, come dicevi tu, una volta non si mandavano messaggi, ma si andava a suonare il citofono per chiedere se il nostro amico ci avrebbe fatto compagnia in cortile. Certo, si rischiava di disturbare, ma si era una po'più in contatto…umano…
    Chissà cosa vedranno i nostri nipoti…

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  6. Ogni strumento, è per l'appunto, uno strumento. Quando si fonde/confonde la sua funzione di mediatore con quello del fine, si entra in una zona d'ombra in cui si inizia a portar pena all'ambasciatore.

    Sono favorevolissimo a nuovi strumenti e tecnologie (sempre che non siano cancerogene/sterilizzanti/nuovi dischi di marco carta). Mi piace fotografare: le diatribe tra pellicola e digitale mi han fatto sempre tenerezza. Immagino Ansel Adams, Capa o gli altri grandissimi di fronte a una nuova tecnologia di ripresa, un nuovo tipo di vetro per obiettivi (quando non erano essi stessi anche inventori di questi) o (magia!) Photoshop. Avrebbero fatto salti di gioia. Profondi conoscitori del mezzo stesso, erano capaci di sfruttare ogni possibilità di questo.

    La differenza è tutta qui.

    L'uso del mezzo fine a se stesso è secondo me a prescindere errato filosoficamente. C'è chi si compra una reflex da 4k euri e obiettivi allo stato dell'arte per scattare foto nitidissime e dai colori brillanti ma banali.

    Come anche essere schiavi della connessione sempiterna. La comodità di avere a portata di mano una rete globale di informazione è inarrivabile. Ma essere sempre disponibili rende subordinati. Il vero “potente” è chi si fa negare, chi non c'è per tutti, sempre, ad ogni ora (cit. U. Eco).
    Crescono paranoia e insicurezza; certo uno lo è già, paranoico o insicuro, ma questi problemi vengono acuiti.
    L'esser virtuali è la nostra coperta di linus del XXI secolo. Si può essere (virtualmente) chi si vuole, ma mi viene in mente l'immagine dei due cani che si ringhiano dai lati opposti della staccionata. Provate a togliergla: con tutta probabilità smetteranno, e ciascuno se ne andrà per la propria strada. Ora il confronto di Fromm tra Essere o Avere dovrebbe introdurre un terzo fattore, il Virtuale.

    Ricordo anche io quando per mettersi d'accordo per una pizza c'era il giro di telefonate. E una volta stabilita ora e data, era quella. Non c'erano 1000 cambiamenti, twittate, post contropost. Se non venivi, era perchè avevi tirato pacco ed eri uno stronzo, o eri probabilmente finito in un tritarifiuti per errore, ed eri stronzo lo stesso, in effetti.

    Le comunicazioni erano di meno, un decimo, un centesimo di adesso. Ma il loro peso complessivo è cambiato?

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  7. Caro Quasiforse, grazie per il tuo contributo veramente molto intenso e accattivante. Mi permetto di rispondere alla tua ultimissima questione: io credo che una volta si comunicava per necessità (se ti chiamo, é perché tendenzialmente ne ho bisogno); ora invio un sms per gentilezza (non vorrei disturbare, se stai riposando almeno hai il silenzioso e balle di questo genere) e spesso non perché realmente abbia qualcosa di interessante da dire. Lo stesso motivo per cui molti scrivono qualunque cosa gli passi per la testa sulla bacheca di Facebook o Twitter. Come giustamente dici tu, i social dovrebbero essere utilizzati in maniera intelligente, raccogliendone le sfaccettature più positive (anche se in questo momento, francamente, non ne vedo così tante), così come in generale le nuove tecnologie… Cosa intendiamo comunicare attraverso i social network? É solo perché ci si nasconde dietro un computer/smartphone che ci consente di non avere di fronte il nostro interlocutore?

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